Il caso Raimo e la gestione del dissenso

Avrei voluto scrivere qualcosa di sensato sulle ultime elezioni americane, che ci hanno lasciato un po’ tutti interdetti e molto sfiduciati. Ma di articoli approfonditi e ben scritti ne sono usciti già tanti e lascio agli esperti di politica internazionale l’arduo compito di commentare e delineare le inquietanti previsioni che ci aspettano per il futuro.

Soprattutto perché questo esito popolare non è che l’ennesimo segmento di un processo già avviato da tempo e che ha manifestato i suoi primi segnali in Europa, dove l’ondata di vittorie di partiti di estrema destra ha colpito anche paesi insospettabili.

Quindi, prima di esprimere tutto il mio rammarico da dentro la mia piccola bolla di dissenso, credo sia più coerente continuare a osservare quello che sta capitando nel nostro paese per realizzare che, proporzionalmente, siamo esattamente sulla stessa barca.

Partiamo dai fatti: a inizio settembre, durante la festa nazionale di Alleanza Verdi-Sinistra (AVS) l’insegnante, giornalista e scrittore Christian Raimo aveva affermato durante un suo intervento che “dal punto di vista politico il ministro dell’Istruzione e del Merito Valditara va colpito, perché è un bersaglio debole e riassume in sé tante delle debolezze del governo. Dentro la sua ideologia c’è tutto il peggio: la cialtronaggine, la recrudescenza dell’umiliazione, il classismo, il sessismo. Se è vero che non è lui l’avversario, è vero che è lui il fronte del palco di quel mondo che ci è avverso, e quindi va colpito lì, come si colpisce la Morte nera in Star Wars.”

Per questa sua dichiarazione è stato sanzionato con l’accusa di aver commesso diversi illeciti tra cui leso l’immagine del Ministero.

Questi termini vanno contro l’articolo 21 della Costituzione e l’articolo 33 che sanciscono la libertà di espressione e di insegnamento. “Le critiche che faccio”, ha osservato Raimo, “non le faccio in classe, da docente, ma da libero cittadino e da giornalista”.

L’aggiornamento sul caso Raimo è arrivato da pochi giorni: è stato sospeso dall’insegnamento per tre mesi, con una decurtazione del 50% dallo stipendio.

Questa sentenza non è passata inosservata, a partire dai suoi studenti del liceo Archimede di Roma, che hanno deciso di protestare contro il provvedimento. All’ingresso della scuola è stato messo uno striscione con su scritto: “Tre mesi di sospensione per un’opinione”.

Anche dal mondo della cultura è partito un appello che ha coinvolto molti intellettuali, scrittrici, registi e personaggi noti, facendo notare che provvedimenti di questo rigore, che limitano la libertà di espressione, appartengono ai sistemi coercitivi delle “democrature”: regimi celati sotto false definizioni di democrazie, di cui mantengono solo il nome.

Le accuse poste a Christian Raimo si riferiscono al decreto sul Codice di comportamento dei dipendenti pubblici, di cui Raimo fa parte in quanto insegnante e in particolare alla specifica sezione dedicata all’uso dei mezzi di informazione e social media.

Nel gennaio del 2023 il Consiglio di Stato si era espresso negativamente sulla bozza del testo relativa al Codice di comportamento, sostenendo che le regole apparivano così generiche da essere troppo discrezionalmente applicabili, rischiando disparità di trattamento tra gli eventuali destinatari, sia nell’ambito di amministrazioni differenti, sia all’interno della medesima amministrazione. Dopo queste osservazioni il decreto era stato ripresentato al Consiglio di Stato senza variazioni sui punti indicati e il parere definitivo del 14 aprile 2023 aveva sostanzialmente ribadito le problematiche già evidenziate in quello precedente.

In sostanza, come spesso accade in Italia, la troppa complessità o la troppa poca chiarezza su una legge portano come conseguenza all’arbitrarietà dell’applicazione. Rischio evidentemente pericolosissimo perché non tutela né l’imparzialità né l’oggettiva valutazione di un fatto.

Nonostante le numerose criticità e lacune il codice di comportamento è stato approvato e non si è perso tempo ad applicarlo per le prime sanzioni.

Non è la prima volta che un ministro denuncia un singolo cittadino. Molto più eclatante è stato il caso di Roberto Saviano, portato in tribunale da Matteo Salvini, anche in questo caso per un reato d’opinione. “L’Italia è l’unico caso in cui il potere esecutivo chiede al potere giudiziario di fermare il dissenso” aveva dichiarato Saviano e qui sta il nocciolo di tutta la questione.

Perché, sempre bene ribadirlo, mentre il dissenso parte dal basso ed è legittimo, la denuncia parte dall’alto, da chi detiene il potere. C’è uno squilibrio tra le forze evidente se un rappresentante di una istituzione governativa denuncia un singolo cittadino per aver espresso un’opinione critica o discorde, oltre a legittimare la limitazione della libertà di espressione che risuona molto più famigliare a pratiche da regimi autoritari che a democrazie.

So bene che il caso Raimo è arrivato fino a me semplicemente grazie ai contatti che seguo sui social, con cui condivido valori e opinioni e che si tratta di una bolla. Sono certa che la maggior parte dei cittadini, proprio quelli che hanno votato questi ministri, non hanno la percezione di quello che sta realmente accadendo, decreto dopo decreto, denuncia dopo denuncia, incoerenza dopo incoerenza, come quella di definire un insegnante che critica un ministero come un “incitatore alla violenza” quando tutti abbiamo visto l’escalation di violenza attuata negli ultimi mesi proprio dalle forze dell’ordine contro quegli stessi studenti che vogliono tutelare, scesi in piazza per manifestare pacificamente.

La realtà distopica che in molti ritenevamo inconcepibile negli Stati Uniti si è avverata, ma in fondo è già qui, basta continuare a osservare con spirito critico quello che sta accadendo alle televisioni di Stato, agli intellettuali, nelle scuole e per le strade. Siamo già dentro quel futuro orwelliano che scongiuravamo tanto e come da manuale, la maggior parte delle persone non se n’è neanche accorta.

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