Una lunga inchiesta riporta alla luce il fenomeno della tratta di mogli in Cina

Cecilia Sala, la giornalista italiana divenuta famosa in seguito al suo arresto in Iran alcuni mesi fa, racconta da anni nel suo podcast Stories, vicende più o meno conosciute dal mondo, alternando notizie di geopolitica o culturali a dettagliati resoconti dei suoi viaggi d’inchiesta fatti in Afghanistan, Ucraina e appunto Iran. In uno dei suoi ultimi episodi ha riportato alla luce un fatto accaduto in Cina nel 2022, ripercorrendo tutte le conseguenze mediatiche e le reazioni da parte del governo che ne sono seguite.

Siccome pochi giorni fa c’è stata la giornata internazionale della donna, credo che il miglior modo per celebrarla sia condividendo il più possibile casi gravi come questi e che mostrano quanto sia importante la dimensione intersezionale del messaggio femminista sulla rivendicazione dei diritti fondamentali. Perché, come ripeto spesso, dalla nostra condizione privilegiata di donne nate e cresciute in luoghi sicuri, dove ci hanno permesso di studiare, lavorare, scegliere con chi stare, si dipanano ramificazioni multiple e ancora troppo nascoste, dove esistono situazioni estreme di segregazione, degrado e schiavismo.

È questo il caso, scoperto in Cina, che ha portato alla luce il grave problema delle tratte di mogli. Tutto ha avuto origine dalla politica del figlio unico che è perpetuata nel paese fino al 2013. Le famiglie cinesi potevano avere un solo figlio, se ne volevano di più venivano sottoposte a sanzioni molto salate.

Questo ha portato ad aumentare il “valore di mercato dei maschi”, soprattutto nelle zone rurali, dove i figli servivano come manodopera nei campi e a portare le famiglie a scegliere di abortire le femmine. Nel tempo si è inevitabilmente creato uno squilibrio numerico tra i due sessi e questo ha causato difficoltà oggettive per molti uomini nel trovare una moglie. Così dalle province orientali  hanno cominciato a comprare le mogli dall’ovest.

È stato questo il primo sospetto che ha scatenato una delle proteste online in Cina più grandi di sempre, dopo che un influencer nel 2022, in visita in un villaggio a Xuzhou, nella provincia del Jiangsu, ha filmato con il telefonino e poi postato una donna incatenata per il collo, dentro un loculo privo di finestre e in pessime condizioni igieniche, sul retro di una casa dove l’uomo aveva appena conosciuto il marito, il signor Dong e gli otto figli, suoi e della donna in catene.

Alle autorità non piace che un caso di violenza domestica fomenti un movimento tanto rumoroso in rete. Il video sparisce in fretta insieme ai commenti e alle domande insistenti delle donne che vogliono sapere se si tratti di una vittima di tratta.

Le autorità locali del partito comunista cinese in un primo momento hanno tentato di calmare gli animi dicendo che la donna non era stata comprata e che veniva tenuta legata perché soffriva di schizofrenia. La protesta si infervora ancora di più e obbliga a indagare e a far emergere la verità.

La donna di nome Xiao Huamei, proveniente da un villaggio nella provincia dello Yunnan, nel sud della Cina, era stata venduta dai trafficanti di essere umani alla fine degli anni 90, prima a un uomo e in seguito al signor Dong, con il quale aveva avuto otto figli e che la teneva incatenata dal 2017. Oggi l’uomo è in carcere.

La verità e le prese di posizione da parte delle autorità sono venute tutta a galla grazie a una giornalista cinese che vive a Pechino e lavora per il New York Times e che ha da poco pubblicato la sua lunga inchiesta, cominciata nel 2022, per scoprire cosa è successo alla donna e a tutte le persone che si sono mobilitate intorno al suo caso.

È stata effettuata negli anni un’aggressiva campagna d’intimidazione da parte del Partito per silenziare il caso. Non è stato possibile per la giornalista e una sua collega avvinarsi al villaggio. Sono state minacciate e obbligate ad andarsene. Stessa situazione si è ripresentata quando l’amica della giornalista, una tra le donne che maggiormente si era esposta nei commenti sotto al video, per denunciare l’abominio del caso, ha tentato di raggiungere Xiao Huamei nell’ospedale dove era ricoverata. È stata messa in carcere, picchiata in cella e rilasciata. Dopo aver pubblicato sui social i segni delle percosse subite è stata condannata ad altri otto mesi di carcere. Una ragazza cinese che ha collezionato le informazioni sul caso prima che sparissero e ha scritto un rapporto che ha spedito in forma anonima alle Nazioni Unite è  stata minacciata dalla polizia. Molte altre giornaliste, avvocate e attiviste, che hanno tentato di avvicinarsi al villaggio, sono state fermate o aggredite.

Ma l’orrore di Xiao Huamei, che ha infiammato il web cinese, ha portato a galla altre vicende, vecchie e nuove. Tra queste, la storia delle tre sorelle Ma, spose bambine di Wushan, vendute da uno zio quando avevano 12 anni. Una di loro, Ma Panyan aveva riempito brevemente le pagine dei giornali nel 2017, quando dopo una faticosa battaglia legale era riuscita a ottenere il divorzio dall’uomo che l’aveva comprata 15 anni prima per 7mila yuan e 250kg di riso. 

A livello legale in Cina i matrimoni infantili sono vietati dal 1950, ma i casi di tratta di donne per scopo matrimoniale rimangono alti. E soprattutto, la pena per chi compra non è commisurata al crimine. Secondo la normativa vigente in Cina, i trafficanti rischiano da 5 anni all’ergastolo fino alla pena di morte. Il destinatario della vittima del traffico invece, secondo un emendamento del 1997, rischia fino a un massimo di tre anni (al contrario, per il traffico illegittimo una specie animale in via di estinzione è previsto l’ergastolo). E c’è di più. Nel caso non ci siano evidenti segni di maltrattamento o abuso della vittima, la sentenza può risultare mitigata. Nessuna indicazione nel sistema legislativo cinese è invece destinata al recupero e al risarcimento delle vittime della tratta. Così come non sono previste soluzioni per gli abusi sessuali che seguono al matrimonio forzato.

Alcune madri di ragazze scomparse anni prima hanno sperato inizialmente che questo grande fermento di protesta scatenatosi sul web le avrebbe aiutate a ritrovare le loro figlie. Ma nel giro di poco tempo è di nuovo calato il silenzio.

Le tratte di mogli, nelle zone rurali e più povere del paese, continueranno indisturbate dalle istituzioni stesse che le hanno causate, con il controllo demografico punitivo che hanno imposto per decenni. Sarà soltanto il riassestarsi dell’attuale squilibrio numerico tra uomini e donne a limitare col tempo questo grave fenomeno. Ci si chiede con inevitabile preoccupazione se questo andrà di pari passo con un allentamento, altrettanto necessario, dello squilibrio tra il potere delle autorità e il sacrosanto diritto di opinione e di protesta delle cittadine e dei cittadini cinesi.

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