L’uomo che dipinge i chewing gum

La scorsa settimana ho partecipato a un vernissage molto speciale, a chiusura di un progetto che ha coinvolto tutta la scuola elementare dei miei figli. Ogni classe ha “adottato” un artista, vivente o del passato, e dopo aver studiato e praticato il suo stile per alcune settimane, i bambini hanno realizzato delle opere a tema.

La mostra è stata originale e varia: dalla riproduzione delle tipiche statue di Giacometti, immerse in contesti quotidiani, alle ninfee di Monet, perfettamente riprodotte in carta a ricoprire l’intera superficie di un atrio, architetture di Gaudí rielaborate su fogli appesi a un filo e autoritratti di bambini con le inconfondibili ciglia folte di Frida Kahlo e animali esotici alle spalle.

Ma il progetto che mi ha colpita di più è stato quello ispirato a Ben Wilson, artista londinese chiamato anche The chewing gum man.

Quando mio figlio mi ha raccontato di questo artista che dipinge miniature sulle gomme da masticare che trova per terra mi sono subito incuriosita.

Sessantadue anni, figlio d’artisti, ha frequentato l’accademia, è rappresentato dalla galleria England & Co e ha un curriculum di residenze e commissioni sia a Londra che negli Stati Uniti, in Giappone, Nuova Zelanda e Australia.

È stato per tre volte invitato a Zurigo dal Musée Visionnaire, l’ultima delle quali proprio lo scorso settembre e attraverso una cartina dettagliata è possibile mettersi sulle tracce di più di trenta miniature sparse per il centro storico cittadino.

L’approdo alla gomma da masticare è il risultato di un percorso cominciato con sculture in legno, destinate a parchi o giardini, per poi passare a una fase di transizione in cui ha cominciato a dipingere su materiali di scarto più adatti, secondo lui, a rispondere (anche provocatoriamente) alle città che ormai sono arredate da cartelloni pubblicitari, manifesti, volantini, parti di un discorso che definisce “poco incline ad ammettere spontaneità” ed è finito alla gomma.

“Le ho sempre guardate, anche quando scolpivo il legno nei boschi” ha dichiarato in un intervista di alcuni anni fa. “Mi ha sempre infastidito il senso generale di noncuranza che comunicano. Le persone pensano di non avere un impatto sull’ambiente, pensano che l’individuo non conti e che una gomma sputata non sia niente. Invece abbiamo tutti una responsabilità sul territorio che occupiamo e se qualcuno sputa una gomma, se milioni di persone sputano gomme, l’impatto diventa cumulativo e non si può più negare.”

Seguendo la mappa realizzata dai bambini della scuola, che hanno disseminato per il cortile e i vari locali finti chewing gum realizzati con l’argilla e poi dipinti, continuavo a pensare al messaggio che questo artista aveva scelto di portare.

Da un lato c’è una forte critica ambientalista sull’impatto che può avere un’azione apparentemente innocua e spesso fatta senza intenzionalità, come gettare una gomma per terra, se ripetuto da milioni di persone. Il suo intervento artistico però restituisce attenzione all’oggetto buttato attraverso la bellezza. Un rifiuto sporco, insignificante, che si accende nell’indifferenza del paesaggio cittadino attraverso il colore. Da scarto a dettaglio artistico da cercare, piccolo fremmento di una costellazione di azioni negative che escono dall’ombra grazie all’arte.

C’è poi l’aspetto più sociologico, per non dire filosofico, legato al gesto di  ridare bellezza a oggetti buttati, calpestati, resi invisibili. Ben Wilson restituisce una nuova vita a cose che non meritano piú un posto all’interno del nostro sistema materialistico, fondato sull’acquisto compulsivo di sostituzioni semplici e immediate al posto delle riparazioni. La cosa rotta, consumata, vecchia che simbolicamente, attraverso una gomma da masticare spiaccicata per terra, riattira lo sguardo e riacquista dignità.

Le foto stesse che ritraggono Ben Wilson sdraiato per terra su un tappetino da yoga mentre è intento a dipingere una piccola gomma solidificata sono commoventi. L’artista che si abbassa a guardare dove nessuno guarda più, a ridar vita alle “ultime cose” e non solo. C’è anche una dimensione di incontro umano molto profonda nel suo lavoro. Molte delle sue miniature sono dediche richieste da parte di uomini, donne e bambini che hanno voluto ricordare persone care che non ci sono più.

“Una volta,” ha raccontato in un’intervista, “ho fatto una miniatura per una donna. Stava camminando sul Millenium Bridge quando si è accorta dei miei lavori e ha capito che molti sono dediche. É subito venuta a chiedermene una per un’amica morta. Mentre parlava, ha cominciato a piangere. Era in un pessimo stato. L’amica, di origini polacche, compagna di studi in Canada, era stata uccisa dal fratello: l’aveva letto sui giornali. Si era presa un giorno di vacanza, ma non poteva andare al funerale. È rimasta con me mentre creavo il dipinto con il nome dell’amica: Maja, accanto alla bandiera e sopra un’ape e un albero: segno positivo…qualche settimana dopo, passando accanto alla miniatura, mi sono accorto che era leggermente sfregata e ho cominciato a lavorarci. Ero piegato, quando un gruppo di persone si è avvicinato e ha cominciato a interessarsi, a chiedermi cosa facevo e perché. Parlando, é uscito fuori che erano canadesi, che conoscevano la storia della donna uccisa dal fratello e nessuno riusciva a credere, né io né loro, che su un ponte di Londra qualcuno stesse lavorando a una miniatura su di lei.”

Sarà che siamo immersi fino al collo in questo stato di angoscia e impotenza generale di fronte al male causato dall’umano, questo dolore disarmante, che non trova più appigli nella ragione umana, in nessuna giustificazione plausibile, ma questo incontro del tutto casuale con il lavoro artistico di Ben Wilson mi ha profondamente toccato.

Forse perché restituisce un po’ di controllo e di possibilità su un piano più vicino e accessibile. Se esistono ancora sguardi in grado di scorgere un potenziale di luce nei rifiuti umani, per riaccendere l’attenzione e la sensibilità delle persone, non è tutto perduto.

Le immagini che in questi giorni hanno riempito i nostri social di folle determinate e variopinte, senza distinzioni di razza, genere, religione, cultura, lingua, orientamento politico,   mi hanno ricordato quelle miniature con cui Ben Wilson colora ponti, vicoli e marciapiedi.

Sguardi attenti e sensibili di gente comune, apparentemente impotenti di fronte alle grandi potenze mondiali e alle loro strategie di potere, eppure in grado di farci fermare tutti, guardare meglio e scorgere la bellezza di un’umanitá che vuole restituire i colori agli invisibili, agli scarti destinati a una inesorabile cancellazione.

Abbiamo bisogno di miniature, di questa bellezza che si cela nel piccolo ma che porta con sé un messaggio immenso.

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Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

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