Alcune settimane fa, un’amica mi ha inviato un messaggio. Mi chiedeva se mi andasse di fare una passeggiata con lei e altre due conoscenti quella sera. Entrambe avremmo dovuto aspettare che i nostri figli finissero l’allenamento sportivo. Come utilizzare meglio il tempo, se non facendo un po’ di movimento? Ho accettato.
Il campo sportivo non è propriamente in mezzo al paese, anzi: un po’ defilato, illuminato da grandi lampioni, si trova ai margini estremi di un piccolo centro urbano. Intorno, campi e poche case. Immaginavo che avremmo percorso la strada principale, dove ci sono lampioni ai lati. E invece no. Armata di pila elettrica, la mia amica ha iniziato a guidarci lungo un sentiero di campagna, un percorso che ben conoscevo, facendolo ogni giorno con il mio cane. Ciononostante, trovarmi là, avvolta dalle tenebre, mi angosciava un po’. Poi, muovendo i primi passi – io, unica del gruppo senza una pila – mi sono accorta di tante luci attorno a noi: luci che si accendevano e si spegnevano. Alcune si avvicinavano veloci, altre si allontanavano. Persone come noi, forse genitori che aspettavano i figli e le figlie lasciati al campo di atletica, forse semplicemente sportivi che dopo il lavoro volevano muoversi un po’. Insomma, quel sentiero di campagna sembrava ora un’autostrada percorsa dai fari delle auto a diverse velocità.
Abbiamo camminato, e a tratti corso, per quasi un’ora. Sono tornata altre volte a fare quel percorso notturno con compagni di viaggio belgi. Con loro ho anche partecipato all’Urban Trail di Lovanio: migliaia di persone corrono o camminano a passo veloce all’imbrunire per le vie e i cortili dell’università. A chi mi chiede perché scelga di uscire nel freddo serale invece di starmene a casa, la risposta è che mi fa stare bene. Camminare e la corsa, certo. Ma anche, e principalmente, lo stare con gli altri. Correre non è solo una parentesi che ricarica la mente e restituisce energia: in quel rito svolto insieme agli altri c’è qualcosa che va oltre il gesto fisico; c’è la relazione, il sentirsi parte di un ritmo più grande, di un gruppo.
Perché racconto questa esperienza? Perché non è semplicemente mia, personale. Ci riguarda tutti e tutte. Ce lo dice la scienza e ha a che fare con la prescrizione sociale, ovvero l’idea che la salute non si curi soltanto con i farmaci o le visite specialistiche, ma anche attraverso attività di comunità – che siano arte, volontariato, contatto con la natura o, appunto, sport.
Negli ultimi anni, il concetto di social prescribing ha acquisito sempre più rilievo scientifico e pratico, a partire dal Regno Unito, diffondendosi poi in diversi paesi, anche in Belgio (mentre l’Italia arranca). Si tratta di un approccio che permette ai medici di base o agli operatori sanitari di indirizzare i pazienti verso interventi non clinici presenti nelle loro comunità. L’idea è, in un certo senso, semplice: molti dei fattori che determinano la salute non si trovano nello studio del medico, ma nella vita quotidiana delle persone. Solitudine, inattività, stress finanziario, mancanza di legami sociali o di senso di appartenenza incidono profondamente sul benessere fisico e mentale.
Lo sport, in questo contesto, rappresenta uno strumento privilegiato. Non solo favorisce la salute fisica, ma offre anche un’occasione di socialità, inclusione e costruzione identitaria. Oltre ai benefici fisici evidenti – riduzione del rischio cardiovascolare, miglioramento della forma e della mobilità – praticare sport incide positivamente sulla salute mentale, riducendo ansia e depressione, migliorando l’umore e la qualità del sonno. A tutto ciò si aggiunge un valore profondo, che risiede nel legame sociale che crea: partecipare a un evento sportivo o far parte di un team può combattere la solitudine – un fattore oggi riconosciuto come rischio sanitario tanto quanto il fumo o l’obesità – e rafforzare l’autostima e la fiducia in se stessi.
Un esempio concreto e di grande visibilità di social prescribing sportivo arriva dal Regno Unito, con l’esperienza dei Forest Green Rovers, squadra di calcio del Gloucestershire. Come ha raccontato il quotidiano Il Domani, il club ha lanciato l’iniziativa Football on Prescription, in collaborazione con gli ambulatori locali. Il progetto prevede che medici di base e operatori sanitari possano “prescrivere” biglietti gratuiti per assistere alle partite del Forest Green Rovers a persone che soffrono di depressione lieve o moderata, ansia o isolamento sociale. L’obiettivo non è semplicemente offrire un intrattenimento gratuito, ma restituire alle persone un’esperienza condivisa, un motivo per uscire di casa e sentirsi parte di qualcosa. È una rivoluzione: sposta l’attenzione da ciò che non va nel paziente a ciò che può farlo stare meglio.
Gli orari di allenamento di mio figlio e del suo amico sono cambiati, purtroppo. Così non ho più avuto modo di andare a camminare di sera in compagnia. Ma pochi giorni fa, tornando a casa dopo il lavoro, quando già le tenebre erano calate (e qui calano presto, ormai), ho rivisto in lontananza luci accendersi e spegnersi. Così mi è venuto da pensare, ancora una volta, alla forza di quelle piccole scie di lampade che si muovevano in gruppi: cercano di accendere dentro le persone connessioni, fiducia, presenza.

