La tempesta opinionistica intorno al caso della famiglia di Palmoli

Perché tornare ancora sulla vicenda della famiglia di Palmoli, dopo l’inaspettato polverone mediatico e politico che si è alzato nelle ultime settimane? Me lo sono chiesta naturalmente prima di cominciare a scrivere e l’unica risposta plausibile che ho trovato sta nella volontà di condividere e diffondere le parole di chi ha fatto chiarezza nel marasma di opinioni.

Ammetto di aver pensato subito, quando la notizia era appena trapelata, di voler approfondire questa storia che, per ragioni non ancora ben chiare, mi ha imbrigliato da subito.

Ho letto articoli, commenti, ho visto video in cui giornalisti e pseudo tali si sono presentati nella radura del bosco dove la coppia vive con i tre figli. Ho seguito soprattutto le scie di polemiche a supporto delle ragioni della famiglia, per capire cosa avesse innescato maggiormente l’indignazione collettiva.

L’escalation più contraddittoria è stata quella innescata sui social, dove diversi influencers hanno osannato il visionario e giusto intento della coppia di tenere lontano i figli dalla civiltà e soprattutto da tutta questa tecnologia maligna che ci sta frullando il cervello. Peccato che le voci a favore di una educazione senza l’ esposizione a dispositivi e visibilità mediatica venissero divulgate proprio attraverso il megafono dei social…

Persino il ministro Salvini si è preso la briga di spendere due parole sulla vicenda, cogliendo evidentemente l’effetto di risonanza che ne poteva derivare. Frasi come: “Non ho dormito la notte al pensiero di quei poveri bambini sottratti ai genitori e senza un peluche per dormire”, o frecciate più dirette agli ecologisti come: “ Ci dicono tanto di essere green (chi?) e poi alla famiglia più green di tutte tolgono i figli”. Incredibile, aggiungo io, tanta attenzione verso una famiglia di stranieri con un livello di conoscenza dell’italiano molto scarso, che evidentemente non pagano le tasse né contribuiscono all’economia nazionale. Profilo che aderisce perfettamente ai soggetti più “odiati” dal nostro ministro. Chissà se perde il sonno anche la notte prima degli sgomberi dei campi Rom.

Non voglio soffermarmi ulteriormente sulle ragioni che spingono un “ministro delle infrastrutture” a schierarsi così palesemente contro lo Stato e la sua giurisdizione. Non stiamo parlando di un politico qualunque, ma di uno sciacallo che da sempre ha fomentato la rabbia e l’indignazione sociale del momento a suo favore.

Il problema, come sempre, in situazioni delicate come questa, in cui ci sono di mezzo tutele e diritti dei minori, è che la maggior parte della gente non è interessata a leggere gli atti che spiegano dettagliatamente tutta la sentenza giudiziaria. Preferisce farsi travolgere dalle sensazioni di pancia immediate che hanno colpito tutti noi e alle perplessità sulle ragioni che hanno spinto i servizi sociali ad allontanare tre figli dai propri genitori, senza la presenza di veri e propri abusi.

La chiacchiera da bar è facile, immediata e permette di sfogare all’istante le proprie frustrazioni ideologiche senza troppo dispendio energetico. La veemenza con cui di solito ci si relaziona in queste dinamiche di “sputo sentenza” creano consenso o conflitto immediato, in ogni caso le posizioni sono nette, rassicuranti e non richiedono alcuno sforzo ulteriore di approfondimento per perpetrare le proprie convinzioni. Sono manifesti gridati che non richiedono contraddittorio.

Per fortuna esistono realtà giornalistiche super partes che tralasciando la spinta emotiva generale, sono partiti proprio dagli atti per chiarire tutta la vicenda. Per esempio il quotidiano Il dubbio che portando avanti un informazione libera e politicamente indipendente si dedica principalmente ai temi della politica e della giustizia.

Cito dal loro articolo: Esistono regole, rivedibili in uno Stato di diritto, esistono scelte complesse e dolorose. Le decisioni possono essere sbagliate, ma per valutarle serve conoscere tutta la storia, come evidenzia una lettera sottoscritta da centinaia di assistenti sociali e inviata all’Ordine nazionale, che denuncia «un attacco sistemico ai principi fondativi del welfare state e ai servizi deputati alla tutela dei diritti delle persone e, in particolare, dei minori». L’attacco c’è stato e il motivo è anche ideologico. Anche stavolta la ragione potrebbe essere elettorale, meglio, referendaria.

E ancora: La famiglia Trevillion-Birmingham era monitorata da circa due anni. Durante questo periodo, il Servizio sociale, secondo il Tribunale dei Minori, ha tentato percorsi di sostegno, rifiutati dai genitori dei tre bambini. Segnalazioni di Servizi e Carabinieri documentano una condizione «di sostanziale abbandono» dei minori, «in situazione abitativa disagevole e insalubre e privi di istruzione e assistenza sanitaria».

La casa viene descritta come «un rudere fatiscente e privo di utenze», con una piccola roulotte annessa. I minori non hanno «un pediatra» e non frequentano la scuola. La situazione è emersa dopo un accesso al pronto soccorso per ingestione di funghi velenosi. I Carabinieri, con relazioni del 23 settembre e del 4 ottobre 2024, segnalano «indizi di preoccupante negligenza genitoriale», in particolare per istruzione e vita relazionale dei bambini, indicando come «imprescindibile una relazione tecnica sulla sicurezza statica del rudere.

Il Tribunale ha sottolineato che la casa era priva di impianti essenziali, con problemi strutturali, umidità e assenza di collaudo statico, elementi che costituivano un rischio concreto per la salute e la sicurezza dei bambini.

La famiglia sembrava collaborare, ma il 14 ottobre i Servizi hanno certificato un’inversione di rotta: i signori Trevallion-Birmingham hanno manifestato la chiara volontà di non recarsi a colloquio e l’impossibilità di concordare una visita a domicilio.

 La mancanza di contatti con coetanei, affermano i giudici, che citano la letteratura scientifica, può compromettere lo sviluppo cognitivo, emotivo e sociale, causando difficoltà di apprendimento, bassa autostima, problemi relazionali e isolamento. Il curatore speciale, in una memoria del 12 novembre, ha evidenziato inoltre che l’esposizione dei minori alla trasmissione “Le Iene” e la pubblicazione di foto e articoli hanno violato il loro diritto «alla riservatezza e alla tutela dell’identità personale». Secondo il decreto, infatti, i genitori avrebbero utilizzato i figli per ottenere vantaggi processuali, assumendo una posizione in conflitto con i loro interessi e cercando di influenzare l’opinione pubblica. Da qui le «gravi e pregiudizievoli violazioni dei diritti dei figli all’integrità fisica e psichica, all’assistenza materiale e morale, alla vita di relazione e alla riservatezza», che giustificherebbero la sospensione della responsabilità genitoriale e l’allontanamento dall’abitazione.

Da questi documenti emerge chiaramente che la situazione sia un po’ più complessa di come è trapelata e si è esponenzialmente ingigantita e di come nuovamente si sia gettato fango e delegittimazione su alcune strutture sociali e giurisdizionali per pura strumentalizzazione.

Il potere dell’opinione pubblica è fondamentale nel nostro Paese, ma al tempo stesso anche molto rischiosa e manipolabile. Tutto può essere definito e incasellato in determinati parametri e al tempo stesso essere il suo opposto. La spinta emotiva permette a un popolo di esprimere il proprio dissenso di fronte alle ingiustizie, come è successo per esempio con la mobilitazione di strada per lo sterminio a Gaza, ma può anche confondere e travisare situazioni.

Se risulta utopica la possibilità ma soprattutto la volontà per tutti di informarsi a fondo sui fatti, dobbiamo almeno non perdere di vista il faro che mette luce sui soggetti coinvolti, sulle vere vittime di queste esplosioni mediatiche, che molto spesso, in quanto minori, non possono farlo da soli, rimanendo marginali e schiacciati dal rumore assordante che li circonda.

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