Belgio. Alla disperata ricerca di una persona che possa aiutarmi nelle faccende domestiche e a tenere in ordine la nostra casa, ho finito con il rivolgermi a una delle tante agenzie locali che dovrebbero rispondere alle esigenze dei “richiedenti aiuto”: nello specifico, trovare una figura professionale interessata a pulire i peli di gatto e le impronte delle zampe di cane dal pavimento, riordinare calzini maleodoranti di bambini appena tornati da partite di calcio e raccogliere briciole che decorano il tavolo del soggiorno da molto, troppo, tempo. La ricerca non è fatta pro bono, si badi bene. L’agenzia in questione chiede infatti un compenso, che a conti fatti, e in proporzione, è molto più di quanto viene pagato chi alla fin fine svolge i lavori domestici. Ma va beh, mi sono detta, “sarà un buon investimento”. Un costo da sostenere “stoicamente” pur di avere una casa in ordine e alla luce dei fallimentari appelli lanciati sui social.
Poi, questa mattina, dopo quasi tre settimane di silenzio, arriva la telefonata. “Abbiamo un match per lei”. E già mi vedo a non dover più giostrarmi, stressata e nervosa, tra lavoro, cura dei figli e pulizia della casa. “C’è una persona” – continua la voce al telefono – “45 anni; parla un po’ di inglese; ha anni di esperienza. È un uomo. Può iniziare domani”.
Gelo.
Un uomo. Che non ho mai visto. Con il quale non ho mai nemmeno parlato. Un uomo. Che dovrebbe entrare in casa mia, magari mentre io lavoro in home-office. “Scusi, non è possibile avere una donna o almeno conoscere prima questa persona?”, chiedo.
E ecco che si articola, nelle parole della mia interlocutrice al telefono, il pensiero che già era sorto nella mia mente, nel momento stesso in cui domandavo di poter aver una domestica: “Signora lei è razzista, una donna piena di pregiudizi. Qui non selezioniamo i nostri candidati in base al genere, etnia o religione”. Fine della conversazione. Fine della mia illusione di avere un aiuto in casa tramite le ricerche di questa agenzia. E si apre in me una voragine. Sono le mie battaglie per la parità e l’uguaglianza mera ipocrisia?
A parte il fatto che la centralista dell’agenzia di collocamento-lavoratori-domestici ha usato in modo completamente improprio l’accusa di razzismo (il genere non è razza), cosa avrei mai avuto da temere, a stare in una villetta di tre piani, da sola, con un uomo che non conosco? Dovrei farmi “mea culpa” per aver consolidato pregiudizi, fomentato sospetti sul mondo maschile e promosso la sfiducia nel prossimo (maschio), come la voce squillante al telefono mi ha accusata di fare? Io madre di due figli… E se mi avesse proposto una aiutante, e se avessi chiesto di poterla conoscere, quello sarebbe stato accettabile?
Domande senza risposta, per ora. Così come irrisolta è la mia ricerca di una domestica…