Ancora una volta, un campo confiscato alla criminalità organizzata va in fumo. È accaduto nei giorni scorsi a Santa Maria La Fossa, nel casertano, dove un incendio doloso ha devastato il terreno di sette ettari un tempo appartenuto a Francesco Schiavone, detto “Sanduca”, esponente di spicco del clan dei Casalesi. A gestirlo da cinque anni è la cooperativa sociale Terra Felix, impegnata in un importante progetto di bioremediation e bioeconomia circolare: il cardo coltivato a Santa Maria La Fossa viene venduto ad aziende che ne estraggono olio per produrre bioplastiche e biochimici mentre il resto della pianta è trasformato in ballette per la coltivazione di funghi.
Terra Felix è una delle oltre 230 cooperative sociali e più di 550 associazioni che sono impegnate a realizzare un nuovo modello di sviluppo territoriale, che prende forma proprio attraverso la gestione e valorizzazione dei beni confiscati alla criminalità organizzata. Dal 1996, grazie alla legge che consente il riutilizzo sociale dei beni confiscati, numerose realtà del terzo settore hanno contribuito a liberare i territori dal controllo mafioso, promuovendo al contempo lavoro dignitoso e la nascita di imprese socialmente responsabili. Le attività avviate spaziano dalla promozione sociale e culturale al turismo sostenibile, passando per la tutela ambientale e l’agricoltura. Solo nel 2024, queste iniziative hanno interessato ben 22.548 immobili, con un incremento del 14% rispetto al 2023. Un business di affari criminali che si estende tra Sicilia, Campagna e Calabria ma arriva fino alla Lombardia, come mostrano i dati raccolti attraverso l’azione territoriale della rete di Libera.
Negli stessi giorni in cui Terra Felix bruciava, in Calabria, un altro incendio doloso ha distrutto una coltivazione di grano gestita dalla cooperativa Valle del Marro, da oltre vent’anni impegnata nel recupero dei beni confiscati alla ‘ndrangheta nella Piana di Gioia Tauro. Poco tempo prima, in Sicilia, a Ramacca, l’ennesimo furto colpiva la cooperativa Beppe Montana Libera Terra, anch’essa attiva nel riutilizzo sociale dei beni mafiosi.
Il danno del raccolto che va perduto non è solo economico. «È un attacco chiaro e diretto a un modello alternativo, che unisce agricoltura sostenibile, rigenerazione ambientale e giustizia sociale. Un segnale di intimidazione ambientale, che indica come l’uso sociale dei beni confiscati dia ancora fastidio alla criminalità», dichiara Francesco Pascale, direttore esecutivo di Terra Felix e Presidente del Consiglio di Amministrazione di Coop Ventuno, raggiunto telefonicamente.
Una situazione che viene seguita e monitorata con attenzione anche “da lontano”: «Stiamo assistendo a un continuo di atti intimidatori e ritorsivi che puntano a fermare chi, con coraggio e determinazione, sottrae territori, terre e risorse alle mafie per restituirli alla collettività», sottolinea Franco Ianniello, Presidente di Cultura contro camorra (Ccc), una rete europea nata nel cuore politico e istituzionale dell’Europa, Bruxelles, per sostenere gli operatori che gestiscono i beni confiscati alla mafia in Italia ma anche per “dimostrare ai cittadini che è possibile uno sviluppo trasparente, sostenibile e democratico che favorisca la crescita economica e sociale”, come si legge nel sito di Cultura contro camorra. «Le cooperative sociali con cui siamo in contatto -continua Ianniello – dimostrano una chiara determinazione a presidiare legalità, giustizia e sviluppo inclusivo in territori che vogliono voltare pagina. Piuttosto, c’è molto lavoro da fare per sensibilizzare la cittadinanza, per unire la società civile e gli attori dell’economia sociale di tutta l’Europa: sconfiggere l’influenza economica della criminalità organizzata (che dall’Italia arriva anche in Belgio) richiede una maggiore consapevolezza tra i cittadini dell’Unione circa la crescente minaccia alla democrazia e allo Stato di diritto che deriva dalla criminalità organizzata transfrontaliera».