Astensionismo in Europa? Il grande fantasma nei media

Cara Europa…., davvero ti vogliamo così male?

Stando al Parlemeter 2023 survey recentemente reso pubblico dal Parlamento europeo, la maggior parte dei cittadini e delle cittadine nell’UE (53%) desidera che i parlamentari a Strasburgo svolgano un ruolo più importante; il 57% delle persone intervistate ha inoltre espresso interesse per le prossime elezioni del PE e il 68% (il 62% in Italia) ha dichiarato che sarebbe propenso a votare se le elezioni europee si tenessero tra una settimana – nove punti in più rispetto a 5 anni fa.

Perchè andare a votare? Del dato italiano non colpisce nemmeno troppo che ben il 25% degli aventi diritto al voto, andrebbero ai seggi per sostenere il proprio governo nazionale. E forse nemmeno che poco più del 10% andrebbe a votare per esprimere un senso di insoddisfazione nei confronti della politica nazionale. Più interessante il fatto che le persone che hanno dichiarato di voler andare a votare sul questioni che riguardano l’Europa (per o contro le sue politiche) sono circa il 33% soltanto. Per tutti gli altri, insomma, l’Europa non è degna di riflessione (nè positiva nè negativa)?

Dopo le elezioni europee del maggio 2019 si era scritto e detto da più parti che l’ondata nera del populismo di destra era stata arginata ma non sconfitta. Era stata auspicata un’Europa in grado di affrontare i nodi che ne stavano progressivamente provocato disaffezione e frustrazione, ritrovando lo
spirito di solidarietà andato in frantumi a causa delle disuguaglianze sempre più marcate e del deficit di sussidiarietà, a fronte delle sperequazioni retributive, della mancanza di un salario minimo regionale compatibile con i costi della vita, e di un modello di sviluppo economico condiviso tra tutti i Paesi membri. Non solo la “sanità delle banche”, si chiedeva, ma anche la “sanità delle fasce più deboli”. Poi c’è stata di mezzo la pandemia, la guerra in Ucraina. E ora tra Israele e Hamas a Gaza.

In questo attuale contesto di tensioni, di possibile ritorno all’austerity, di costo della vita crescente, di sbarchi infiniti, di tentativi di governare la transizione ecologica e digitale, i leader politici di “destra destra” partecipano a eventi pubblici, sdoganati ormai da tempo. Anche per responsabilità dei media. Media che hanno in passato ingnorato i programmi populisti, rifugiandosi dietro eufemismi e chiamando ‘destra populista’ quell’insieme di fenomeni dai ‘rigurgiti fascisti’ (nemmeno troppo velati).

Non è una novità: da anni il mondo della comunicazione rincorre lo share – lo ricorreva anche quando alcuni dei partiti populisti oggi al potere valevano meno dell’1% e ciò nonostante ci si interessava ai capelli improbabili di Geert Wilders in Olanda o alle teorie complottiste riguardanti il miliardario e filantropo ungherese George Soros create a fini politici da due spin doctor di Victor Orbán, giusto per fare pochi esempi.

Ora, ovvio, la situazione è cambiata. I populisti hanno vinto alle urne in molti paesi. Dunque, di loro, dei partiti populismi si parla. Non si possono ignorare.

Dispiace invece che – oggi come ieri – ci sia un altro “soggetto” politico di cui si continua a non parlare. L’astensionismo, “il primo partito” in Europa. Certamente in Italia. Dove in diversi media, passa il messaggio che le persone siano alquanto compatte dietro ai messaggi delle destre destre.

Forse non cambierebbe nulla, in termini del risultato di voto europeo atteso per il giugno del prossimo anno. Forse non smonterebbe l’ondata populista che ci si aspetta. Ma almeno si farebbe un’informazione più corretta, se si ascoltasse meglio questo partito dell’astensione.

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Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

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