Bello, rivedere il tuo sorriso

Riuscire a trovare buone ragioni per sorridere pare essere diventata la sfida più grande dei nostri tempi. La puntualità con cui è stato innescato il conflitto militare più grave in Europa, dalla guerra nei Balcani, ha dello sconcertante. I conflitti nel mondo, gli esodi di massa e i genocidi, in questi ultimi due anni di emergenza sanitaria non si sono mai arrestati, ma l’invasione militare dell’Ucraina ha avuto, sul lato occidentale del pianeta, un impatto così destabilizzante da rigettarci tutti, indistintamente, in un profondo senso di sconforto e paura.

L’infinita quantità di materiale informativo che è stato possibile da subito reperire on-line ha fomentato una profonda indignazione nell’opinione pubblica, seguita dall’empatia che tutt’ora ci lega agli schermi, ci obbliga ad aggiornamenti continui e ci fa piangere.

Siamo tutti ripiombati nelle stesse emozioni che abbiamo provato con una continuità quasi costante per i due anni di pandemia appena trascorsi. Ora che sembrava possibile cominciare a spostare la prospettiva dei propri progetti di vita verso un futuro più simile a quello che ricordavamo, nuovamente ci ritroviamo sopraffatti dagli eventi, spaventati e sospesi.

Con questo umore, simile probabilmente al vostro che mi state leggendo, ho affrontato la mia vita quotidiana in queste ultime settimane. Ho svolto numerose azioni con la testa altrove, ovattata dentro pensieri ossessivi, che mi hanno estraniata dalla realtà parallela che stavo vivendo. Come un automa sono stata al supermercato diverse volte, senza più la mascherina perché qui in Svizzera non è più obbligatoria nei luoghi al chiuso, ma non ho guardato le facce delle persone, non ho veramente realizzato cosa fosse successo di importante, nel paese in cui vivo, fino a quando un giorno sono arrivata alla cassa e ho trovato un foglio con un’ immagine attaccata alla protezione in plexiglas. Raffigurava un grande smile arancione e giallo e sotto la scritta: Schön, Ihr Lächeln wiederzusehen. Bello, rivedere il Suo sorriso.

Sono rimasta bloccata davanti a quella scritta, ho alzato gli occhi a cercare il cassiere, che passava rapido i miei prodotti sullo scanner, troppo preso dal suo lavoro per notare il mio smarrimento. Mi sono voltata, ma anche la signora in fila dietro di me teneva gli occhi puntati sul suo carrello. Così ho sorriso, con gli occhi lucidi  e la consapevolezza di essermi riconnessa al mio presente, l’unico su cui in questo momento ho potere di agire e sentire. 

Questo manifesto pubblicitario che si trova praticamente in ogni rivenditore Migros, piccolo o grande che sia, ha scaturito molte polemiche, soprattutto su Twitter, dove hanno accusato l’azienda di irresponsabilità e leggerezza in una situazione ancora altamente rischiosa. Il messaggio, da quanto si legge, rischia di risultare fuorviante, sottostimando l’utilità della mascherina e discriminando i soggetti fragili che non intendono o non possono ancora farne a meno. Io vorrei provare a tralasciare per un istante le interpretazioni soggettive che questa frase ha inevitabilmente prodotto e concentrarmi sul presupposto emotivo che dal mio punto di vista stava alla base di questa campagna. Qual è stata la prima sensazione positiva che ognuno di noi ha provato a ritrovarsi in un luogo pubblico e poter vedere le facce per intero di tutte le persone che ci stavano intorno? Sollievo? Riconoscimento? Empatia? 

Per me è stato così a rientrare in classe dopo quasi due anni e rivedere i visi dei miei studenti, alcuni addirittura per la prima volta, perché conosciuti solo attraverso una maschera. Che liberazione sorridere e sapere di essere visti, riconoscere sull’altro la stessa volontà di comunicazione, condividere la gioia estesa a ogni muscolo espressivo.

Poi è inevitabile che subentri ancora il timore che sia tutto troppo affrettato in questo paese dove la libertà individuale è un diritto tanto sacro da aver compromesso spesso il controllo sulla diffusione stessa del virus. Non dimentichiamo che la Svizzera è stato uno dei paesi con il lockdown meno duro del mondo. Probabilmente sì, questo “liberi tutti” un po’ avventato porterà ancora a degli strascichi più lenti che in altri paesi più rigorosi. Ma in questo momento di altissima tensione internazionale, in cui i notiziari hanno ripreso a bombardarci di immagini spaventose e previsioni inquietanti, trovare come unica ragione per sorridere il fatto che gli altri, gli sconosciuti per strada, al supermercato, dentro un museo o in un ristorante, possano di nuovo vederlo, è un pensiero che mi da speranza. Esiste ancora, una parte di umanità sopita, che vuole tornare a manifestarsi: quella degli abbracci spontanei, delle strette di mano, dei baci improvvisi, quella che ci fa sentire vicini ed esorcizza la paura. Mai come ora, credo, possiamo ritrovarci partendo da un sorriso. 

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Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

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