Ognuno di noi ha una percezione di chi è in quanto persona, e un senso morale, cosa sia giusto o sbagliato. Per le neuroscienze, le nostre credenze e convinzioni sono, per così dire, incarnate nei circuiti neuronali del nostro cervello, e se questi circuiti cambiano, cambia anche la persona che siamo. Quindi, ed estremizzando un po’, le nostre cognizioni di bene e male, radicate nella nostra mente, possono cambiare? E dunque a poter cambiare sono anche gli orientamenti politici?
Sono, queste, domande che mi pongo stufa della tragedia (o commedia) politica che si sta consumendo in Italia e che seguo dall’estero. Un po’ di speranza l’ho ritrovata rileggendo Non pensare all’elefante, saggio di qualche anno fa, ma comunque sempre attuale, nel quale l’autore, George Lakoff (linguista americano che ha studiato per anni le modalità cognitive delle persone soprattutto in merito alla loro dimensione pubblica) spiega la forza dei Repubblicani in America, capaci raccontare la politica all’interno di una cornice di lettura costruita a loro immagine e somiglianza. Una strategia che parte da lontano. E che oggi tendiamo a dimenticare.
Insomma, il nocciolo della questione, per chi mi conosce e condivide il mio pensiero, è come facciamo a (ri)dare centralità a valori quali tolleranza, rispetto, inclusione, dialogo, cooperazione?
Per Lakoff, non basta raccontare la ‘nostra’ storia, quella noi riteniamo la migliore e indignandoci se gli altri non ci seguono.
E’ necessario un lungo e costante lavoro di reframing, ovvero un cambiamento di quelle cornici (frames in inglese) che influenzano la visione del mondo. In Non pensare all’elefante, pubblicato per la prima volta nel 2004, Lakoff spiega come mai il racconto politico dei Repubblicani fosse, in quegli anni, più convincente di quello dei Democratici, e grazie a un lavoro fatto negli anni, attraverso convegni accademici, orientamento dei media e del dibattito pubblico.
Non si tratta, per Lakoff, di inviare qualche tweet ben riuscito, bacini e sorrisi su Facebook, post con nuovi e vecchi alleati. Non è nemmeno sufficiente ignorare quanto di scomodo viene detto dall’avversario. Ed è semplicemente controproducente cercare di ‘ribaltare’ una tematica creata dagli altri, perché rispecchia i ‘loro’ valori, non i ‘nostri’.
Per cambiare il discorso politico si deve agire. Farlo con onestà, senza reinventarsi e senza usare parole di altri, per scopi elettorali. E’ necessario costruire un altro frame, uno proprio. La strategia parte da lontano. E da alcune semplici domande.
Il successo delle destre sovraniste (o populiste) è fatto di anni dedicati alla costruzione di un discorso fortissimo sulla protezione della comunità e degli interessi locali, ricalcoli fiscali con spinta autonomista, esclusione del ‘diverso’, di chi disturba la nostra quiete (sociale, culturale ed economica). Qual è la morale delle forze progressiste? Quali i valori condivisi? Opportunità, sicurezza economica, prosperità, libertà? Quale storia si vuole raccontare?