Chi era Emilia Luti?

Facciamo un piccolo sondaggio: quanti, tra le lettrici e i lettori qui presenti, non hanno letto o studiato almeno un capitolo dei “Promessi sposi” durante le scuole superiori? Azzardo nessuno.

L’Innominato, Renzo e Lucia, Don Abbondio, sono indubbiamente tra i personaggi letterari che più rimangono del nostro passato scolastico, a parte naturalmente Dante e forse Silvia?

Conoscere il grande romanzo dell’Ottocento italiano è imprescindibile tutt’ora, “incastonato” nei programmi ministeriali come la spada nella roccia, ma scommetto che quasi nessuno assocerebbe il nome del grande scrittore a quello di Emilia Luti, la editor di Alessandro Manzoni.

Ebbene sì, ci troviamo di nuovo di fronte a una donna completamente oscurata dalla fama del grande uomo.

Per nostra fortuna, ora, un romanzo le restituisce tutta la centralità del suo intervento nella revisione dei Promessi sposi, dove ha lavorato a fianco del grande scrittore per quasi tre anni.

L’autrice, Emanuela Fontana, ha portato avanti un lavoro di ricerca storica lungo e molto accurato, ripescando dagli archivi ogni lettera, biglietto o commento che testimoniasse la fitta collaborazione che i due hanno avuto per “risciacquare i cenci in Arno”.

Il compito di Emilia Luti, istitutrice fiorentina, poco più che ventenne, è stato infatti quello di aiutare il Manzoni nella complessa trasformazione di ogni parola, frase idiomatica ed espressione dal milanese alla lingua fiorentina, considerata ai tempi la più pura.

Siamo nel 1838 e Emilia Luti, nubile e orfana di padre, per mantenere la madre e le sorelle fa la bambinaia e aiutante in biblioteca presso la casa Vieusseux. È qui che Massimo D’Azeglio la incontra e, rimasto colpito dai suoi modi schietti e dal suo fiorentino purissimo, le propone di seguirlo a Milano per occuparsi della piccola Rina, figlia della prima moglie Giulietta, nonché figlia del Manzoni. Così Emilia entra in contatto con la famiglia del grande scrittore, dove già i Promessi sposi sono stati apprezzati da un largo pubblico, ma lui non è soddisfatto. Si è messo in testa di ristamparlo in una edizione illustrata ma, soprattutto, con una lingua rinnovata,  molto più vicina al fiorentino, definito ai tempi “la lingua degli italiani”.

La collaborazione tra i due comincia quasi per scherzo, con Alessandro Manzoni che sottopone alla giovane qualche frase del romanzo per averne un parere. Rimasto anch’egli colpito dall’esattezza delle osservazioni di Emilia, i due cominceranno a scambiarsi dei bigliettini con espressioni o parole da rendere più “fiorentine”, fino a passare a una vera e propria revisione del testo, parola per parola, durato molti mesi.

L’aspetto più interessante del romanzo di Emanuela Fontana è la sua capacità di restituirci la figura granitica e irreprensibile del grande Manzoni, come un essere umano come tanti, appesantito dal suo carico di insicurezze e fragilità, circondato da una famiglia “imponente” e definita da dinamiche relazionali complesse da districare, come in tutte le famiglie.

Emerge un ritratto nuovo dell’uomo, prima che dello scrittore, al quale non siamo stati abituati, ma che ci regala il profilo di una personalità molto più sfaccettata e interessante.

È stato rassicurante per me, leggere delle cadute e delle perplessità che hanno assillato il Manzoni durante tutto il lavoro di revisione. Il suo profondo bisogno di rassicurazione e anche i momenti di sconforto più forti, che lo portavano all’isolamento per giorni, ci restituiscono un’emotività tormentata, che ha dovuto costantemente fare i conti con i suoi demoni.

Il complesso rapporto con la madre, Giulia Beccaria, personaggio che emerge nel romanzo per il suo temperamento forte e anticonformista, racconta di un legame pieno di rancori ancora vivi, ma anche di un profondo bisogno di riconoscimento e riavvicinamento da parte del figlio. Far emergere chiaramente il conflitto interiore che arde ancora nel Manzoni per lo stile di vita della madre, definito ai tempi troppo libertino, senza dimenticare l’appurata paternità dell’amante di quest’ultima, Giovanni Verri, che verrà comunque mascherata per evitare scandali nell’alta società, ci permette di smontare il piedistallo su cui abbiamo collocato la sua persona irreprensibile, quasi eterea.

Non era concepibile associare la più alta figura letteraria-cattolica dei tempi al figlio di un adulterio e a una conseguente falsa paternità.

Molto interessanti anche le parti di dialogo in cui i due si scontrano sul tema della fede. Ottimo pretesto, trovato dall’autrice, nel definire la figura di Emilia come l’atea che prova a scalfire l’integrità religiosa del Manzoni, che si vede vacillare di fronte all’ennesima perdita di una sua figlia.

Il bisogno di rassicurazioni e di compassione che Manzoni trova in Emilia, descrive un rapporto speciale, basato su una profonda stima reciproca e su un rispetto discreto che non supera mai il limite della confidenza troppo personale.

“La correttrice” è un romanzo necessario, che si presenta come un’ottima opportunità di accostamento alla lettura dei “Promessi sposi” nelle scuole. È un libro importante per diversi motivi: innanzitutto perché è ben scritto ed è ricco di descrizioni e rappresentazioni del contesto storico e culturale del tempo. C’è per esempio il racconto dettagliato della prima del Nabucco, senza aver tralasciato di fare prima un esaustivo quadro di Giuseppe Verdi e della sua altrettanto travagliata carriera artistica.

Il secondo aspetto è il fatto di riportare alla luce una figura fondamentale per la stesura definitiva del romanzo più studiato nelle scuole italiane, che per giunta è una giovane donna. Questo aspetto che sembra marginale non lo è per niente se pensiamo alla mancanza totale di figure di riferimento femminili negli autori e artisti scelti nei programmi ministeriali e che impediscono per anni qualsiasi possibilità di identificazione o ispirazione per tutte le studentesse.  E infine ci restituisce un volto più umano e poliedrico del grande scrittore ottocentesco, rendendo forse anche meno ostico l’approccio da parte dei più giovani al romanzo.

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