Sono figlia di una plurimedagliata, ma spesso me ne dimentico. La mia mamma è stata atleta nella Nazionale italiana. Correva i 200 metri, tra gli anni ’70 e ’80. Non faccio il suo nome, non me lo perdonerebbe – per modestia. Nella sua casa, ancora le coppe vinte e tante medaglie. Sono su di una parete alla fine di un lungo corridoio; su uno scaffale pieno di libri dove quasi i riconoscimenti si perdono, confondono tra suppellettili vari. Già. Sono cresciuta senza pensare troppo che quella persona che mi rimboccava le coperte, mi faceva giocare e mi sgridava, insegnava in una scuola media e mi portava in vacanza…aveva corso su vari campi di atletica indossando la maglia dell’Italia.
Solo con il passare degli anni, iniziando a studiare la storia di genere e vivendo sulla mia pelle le problematiche dell’essere donna in un mondo ancora troppo declinato al maschile, ho iniziato a chiedermi perché Maura non parli quasi mai del suo passato sportivo. Oggi un’ipotesi ce l’ho. Credo lo faccia per normalizzare una situazione vissuta e non dover raccontare, assieme alle medaglie, anche il conservatorismo, le arretratezze e il paternalismo proprio del mondo sportivo.
Proprio questo mondo, invece, viene raccontato, con lucidità e sguardo critico, in “Cinque cerchi di separazione. Storie di barriere di genere entrante nello sport” di Federico Greco (edizioni Paginauno), un libro che ripercorre storie di atlete discriminate, in ogni parte del mondo, in vari settori sportivi e in tempi passati e presenti. Storie di donne “zittite” da mariti, familiari e colleghi; ridicolizzate e sminuite dai media; deprivate dalle istituzioni della possibilità di partecipare a diverse discipline o di farlo con gli stessi riconoscimenti (anche economici) destinati ai maschi.
Quello di Greco è un libro estremamente attuale, se pensiamo alla notizia, di poche settimane fa, riguardante Lara Lugli, la pallavolista italiana, che, incinta, è rimasta senza stipendio – perché in Italia è prassi normale, revocare lo stipendio quando una pallavolista aspetta un bambino, dal momento che le atlete non sono professioniste! Prima della Lugli, come l’autore di “Cinque cerchi di separazione” ricorda, ci furono altre, numerose, atlete a richiedere un maggiore riconoscimento della loro professionalità, a partire dalla questione economica. A qualcuno tornerà in mente la calciatrice norvegese Ada Hegerberg, la quale dichiarò pubblicamente il proprio rifiuto a indossare la maglia della sua Nazionale, fino a quando lei e le sue colleghe non avessero ottenuto parità di trattamento rispetto ai calciatori della nazionale maschile. E prima, ci furono le tenniste Billie Jean King e Rosie Casals, che negli anni ’70, stanche di essere pagate meno dei colleghi maschi, si rifiutarono di andare a giocare in California e costituirono un circuito professionistico interamente femminile, il Virginia Slims Circuit.
Quello riguardante le differenze salariali e la professionalità delle donne – anche all’interno delle istituzioni sportive, oggi composte al 70% da uomini – sono però solo due ‘cerchi’ che stanno delimitando gli spazi di presenza/assenza del mondo femminile nello sport. Già, perché le donne si sono dovute battere anche contro altre forme di esclusione/inclusione nelle discipline sportive, riguardanti la classe. Come scrive Greco, lo sport, prima che sessista, si è dimostrato classista (e razzista).
“Così, se cinque cerchi messi forzatamente a contatto e nell’atto di rompersi avrebbero meglio rispecchiato la situazione mondiale nel 1914, altrettanti cerchi concentrici potrebbero ben rappresentare le barriere che hanno separato e quelle che ancora separano le donne dal pieno raggiungimento della parità di genere all’intento del mondo sportivo”
Prima di chiedere (e continuare a chiedere tutt’ora) il pieno riconoscimento del proprio ruolo di sportive professioniste e di avere uno spazio di rilievo nei vertici delle istituzioni politiche dedicate allo sport, le donne hanno dovuto anzitutto poter farlo, lo sport! Hanno dovuto combattere contro la visione tradizionalista che le rilegava alla casa e alla cura dei figli; ma hanno anche dovuto scontrarsi con la percezione maschile diffusa che fare sport fosse nocivo alla salute e benessere psichica femminile, nonché improprio – poiché fare sport richiedeva un abbigliamento che sarebbe potuto risultare (come nel caso delle tenniste e delle fantine) una distrazione per gli occhi del pubblico maschile.
Ma anche quando i cerchi che legavano le donne alla famiglia e alle attività domestiche furono rotti, il mondo femminile dovette scontrarsi altre forme di esclusione che facevano delle donne una categoria di sportive di serie B rispetto agli uomini: si trattava di lottare contro lo scetticismo, le critiche maschiliste e le impertinenze dei media, che ridicolizzavano le prestazioni delle donne e così facendo ponevano, anche, le basi per una giustificazione di diversità salariali.
Tutta questa storia delle discriminazioni femminili, Greco la racconta soffermandosi sui – molti – successi dimenticati delle tante donne che hanno lottato per l’emancipazione con determinazione e caparbietà, come la ciclista italiana Alfonsini Morini, la quale “riuscì a conquistarsi un po’ di spazio e di notorietà rimandando fedele al mondo del pedale”; con ingegnosità, come Bobbi Gibb, che tentò di partecipare alla maratona di Boston camuffata da uomo; con consapevolezza del potere che fare sport poteva conferire loro (alle donne) in termini di indipendenza e rappresentazione. Questi sentimenti animarono ad esempio Alice Milliat, la quale negli anni Venti del Novecento si batté per il diritto di voto delle donne e, ugualmente, per l’inserimento dell’atletica leggera femminile nel programma olimpico.
Ecco allora che “Cinque cerchi di separazione”, raccontando le battaglie e i successi di donne che abbatterono le barriere (Althea Gibson, Sonja Henie, Annette Kellerman e Megan Rapinoe – solo per fare pochi nomi), è molto di più di una critica alle arretratezze dello sport: è una lettura della storia dello Sport in chiave di genere ed dà voce alla forza trasformatrice di un’assenza rumorosa. Così facendo, Greco riesce in un’impresa non facile, ovvero mostrarci come lo sport abbia il potere di anticipare i mutamenti sociali e sia stato, al pari di altri settori, un campo cruciale nella lunga e dolorosa strada verso l’emancipazione femminile. Un traguardo che ancora non si è raggiunto. I cerchi non sono ancora tutti infranti. Per questo, le coppe e le medaglie vanno, continuamente, mostrate a sottolineare che non sono solo gli uomini a scrivere la storia!