Le politiche ambientali e la lotta contro i cambiamenti climatici non sono una priorità per la grande maggioranza dei governi del mondo, nonostante ogni evidenza scientifica dimostri che dovrebbe essere il contrario. Questa amara verità è emersa chiaramente anche dallo svolgimento e dalle conclusioni della COP30, la trentesima conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, svoltasi a Belém, in Brasile dal 10 al 22 novembre scorso, a cui hanno preso parte i rappresentanti di 190 Paesi. Il governo Usa brillava per la sua assenza dopo che il presidente Trump ha deciso di ritirare l’adesione del suo Paese dall’ accordo di Parigi del 2015.
Il dichiarato proposito di passare dalle parole ai fatti nella messa in atto di efficaci misure per contenere il riscaldamento globale non si è purtroppo tradotto in adeguati provvedimenti concordati. Il faticoso accordo finale raggiunto fra i partecipanti non ha indicato un percorso condiviso per la transizione energetica e non ha rafforzato il conseguente progressivo abbandono dei combustibili fossili che, per esplicita richiesta di Arabia Saudita e Russia, non vengono nemmeno citati nel testo conclusivo. Quest’ultima carenza è stata polemicamente sottolineata da Gustavo Petro, Presidente della Colombia, il Paese che ospiterà la prossima conferenza internazionale sull’uscita dai combustibili fossili
Non sarà dunque possibile un adeguato incremento del ricorso a energie alternative, quali l’energia eolica e quella solare, che pure in questi anni hanno conosciuto uno sviluppo sia pure insufficiente rispetto all’urgenza dei problemi. Alle significative iniziative private in merito non si accompagna un impegno vincolante da parte della maggioranza degli Stati.
I Pasi sviluppati non hanno inoltre preso impegni immediati per incrementare i fondi a favore di molti Paesi del Sud globale per accelerare la diminuzione delle emissioni climalteranti e per far fronte alle conseguenze, già in atto, del cambiamento climatico: di conseguenza anche la promessa di triplicare questi stanziamenti entro il 2035 risulta poco credibile. Non dimentichiamo che I Paesi che necessitano di questo tipo di finanziamento sono in gran parte quelli meno responsabili delle emissioni ma ne subiscono già oggi le conseguenze maggiori.
Non sono stati compiuti, per mancanza di accordo, significativi progressi nemmeno per la definizione di un programma preciso per bloccare la deforestazione, nonostante la Conferenza si sia svolta in Amazzonia, regione che, come risulta da rilevazioni satellitari, ha subito fra il 2024 e il 2025 un ulteriore perdita del 4% della propria superficie forestale. Si può dunque definire l’esito della Conferenza inadeguato per cui risultano stonati i commenti trionfalistici di alcune delegazioni sull’esito finale e molto più realistico quello della delegazione francese che ha definito quello conclusivo un accordo “piatto” mentre Wopke Hoestra, commissario europeo per il clima, ha provato a consolarsi rilevando come positivo il fatto che comunque non siano stati fatti passi indietro.
Le classi dirigenti dei Paesi sviluppati hanno mostrato anche a Belém di essere ispirate da un un’idea di sostenibilità intesa come compromesso fra le esigenze della produzione industriale capitalistica e le politiche ambientali, spesso a vantaggio delle prime; si tratta invece di operare un necessario rovesciamento attuando politiche ambientali che mettano al centro la lotta al cambiamento climatico subordinando ad esse innovative e coraggiose iniziative produttive, sostenute da una forte accelerazione della transizione energetica.
Tutto questo però deve essere accompagnato dal massimo possibile di pressione dal basso; un aspetto incoraggiante da questo punto di vista è stata la presenza a Belém di una folta rappresentanza di popolazioni indigene provenienti soprattutto dal Brasile e dai Paesi del Sudamerica che hanno fatto sentire la loro voce e la loro protesta dentro e fuori la Conferenza, rivendicando con forza il rispetto dei loro diritti particolarmente minacciati dalla deforestazione. Significativa anche la partecipazione dei delegati dell’ Alleanza dei piccoli Stati insulari, minacciati a loro volta dall’innalzamento del livello dei mari.
L’allentamento dell’impegno ambientale ha prevalso invece nelle opinioni pubbliche di molti Paesi sviluppati dove in fondo negare la necessità di perseguire politiche che impongono anche alcuni cambiamenti nelle abitudini di vita può risultare anche comodo.
L’impegno per l’ambiente è necessariamente anche impegno per la pace visto. che ingenti risorse vengono dirottate in tutto il mondo verso un massiccio riarmo, a scapito anche delle politiche ambientali.


