Lo sviluppo sostenibile non è greenwashing

Nel linguaggio comune ma spesso anche in quello politico in tema ambientale l’espressione sviluppo sostenibile è spesso talmente inflazionata o distorta nel suo significato originario da apparire inutile se non addirittura giustificatoria di politiche ecologiche di facciata.

Verrebbe la tentazione di considerarla ormai inutile e da abbandonare ma ricostruendone l’origine se ne rivaluta invece l’importanza e si coglie la necessità di recuperarla, legandola però a politiche ambientali incisive che essa in realtà sottintende.

 L’espressione comparve per la prima volta nel corso della Conferenza sull’ambiente umano delle Nazioni Unite del 1972 ma il suo significato venne precisato e articolato nel 1987 dal rapporto della   Commissione ambiente e sviluppo delle Nazioni Unite, spesso ricordata come Commissione Brundtland dal nome della politica norvegese Gro Harlem Brundtland che la presiedette dandole un preciso indirizzo politico.  Nel rapporto finale della Commissione, intitolato significativamente “Il nostro futuro comune”, venne definito sostenibile uno sviluppo che “consente alla generazione presente di soddisfare i propri bisogni senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri”.

Questa definizione già di per sé pregnante venne inoltre   inserita nel Rapporto in un contesto che non permetteva alcuna ambiguità.

Il Rapporto precisa infatti che i bisogni citati nella definizione riguardano in particolare “i bisogni essenziali dei poveri del mondo a cui dovrebbe essere data priorità assoluta”. Ma uno sviluppo sostenibile implica anche l’accettazione di limitazioni relative  “alla capacità dell’ambiente di soddisfare i bisogni presenti e futuri”. Sono evidenti in questa analisi gli echi de I limiti dello sviluppo pubblicato quindici anni prima dal Club di Roma.

https://marialuigia.eu/wp-content/uploads/i-limiti-dello-sviluppo_1972_introduzione-di-aurelio-peccei1.pdf

Michel Hänngi, pubblicista e attivista climatico svizzero, in un brillante saggio di recente pubblicazione, ha preso le mosse dalla necessità di restituire al concetto di sviluppo sostenibile la sua  valenza originaria, chiaramente delineata dal Rapporto Brundtland,  liberandolo dalla  distorsione e dall’attenuazione non disinteressate  che esso costantemente subisce. 

https://rotpunktverlag.ch/buecher/weil-es-recht-ist

Lo sviluppo sostenibile secondo il Rapporto investe infatti aspetti ecologici, economici e sociali che non vanno   intesi come ambiti in conflitto ma determinano le modalità del nostro modo di produrre e di convivere in modo da far fronte alle sfide ambientali già oggi attuali. La sostenibilità ecologica è dunque un presupposto di quella economica; non si tratta con questo di affermare un dogma ideologico imposto da   un presunto fondamentalismo verde ma di ribadire un principio essenziale per le stesse prospettive economiche in quanto, ad esempio, le limitate risorse naturali sono un presupposto dell’economia e non viceversa. La preminenza della salvaguardia ambientale oltretutto garantisce le prospettive economiche esistenziali delle future generazioni che sono alla base del concetto stesso di sviluppo sostenibile.

Spesso invece l’ambito economico e quello ecologico vengono i posti sullo stesso piano in modo da giustificare una crescita economica basata sugli stessi presupposti che hanno determinato l’attuale crisi climatica e ambientale di cui si cominciano ad avvertire gli effetti devastanti. Questa equiparazione (o addirittura il fatto di considerare preminenti gli aspetti economici) è particolarmente insidiosa in quanto si presenta come espressione dell’ interesse generale mentre in realtà si ispira a una visione di corto respiro che privilegia il profitto di pochi. La posta in gioco ovviamente è complessa perché la realizzazione piena di uno sviluppo sostenibile implica trasformazioni profonde ad ogni livello   con rilevanti ricadute sociali che richiedono di essere governate in una complessa fase di transizione. 

Il saggio di Marcel Hänggi ha un respiro particolarmente ampio in quanto   propone di adattare la costituzione svizzera, servendosi anche degli strumenti della democrazia diretta elvetica, ai principi dello sviluppo sostenibile; l’autore non si limita   a formulare due o tre principi generali magari relegati in un virtuoso articolo costituzionale dedicato ai buoni propositi sull’ambiente. Si propone piuttosto di rendere l’intera struttura costituzionale e le sue concrete traduzioni legislative coerenti con una transizione ecologica che tenga anche conto delle necessarie misure di mitigazione e adattamento, in grado di contrastare le conseguenze già in atto del cambiamento climatico.

Hänggi intende insomma porre lo sviluppo sostenibile, inteso nel suo vero significato, al centro di ogni intervento politico, economico e sociale presente e futuro con l’approccio non settoriale che queste tematiche richiedono.

Anche se il quadro di riferimento riguarda la realtà elvetica, la metodologia proposta è adatta a essere attuata nell’ambito di tutte le economie avanzate.

Ecco perché intendere il progetto dello   sviluppo sostenibile come istanza di mutamento radicale, come inteso dai suoi ideatori non è una semplice operazione semantica ma un presupposto concreto dell’azione politica.

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Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

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