Cosa succede quando una potente voce pubblica sta dalla parte sbagliata?

L’atto dello scrivere non è mai neutrale. È un tema su cui sono già tornata più volte. Chi scrive per mestiere, indipendentemente dal genere, riceve una voce pubblica: le proprie parole, convinzioni e atti assumono un potere di diffusione molto più esteso e la responsabilità di esporsi e schierarsi diventa inevitabile.

Immaginate ora questa situazione: da una parte abbiamo una delle scrittrici fantasy più note al mondo, forse la più famosa in assoluto, che ha scritto una saga amata da milioni di adolescenti che leggendola si sono emozionati, commossi, appassionati alla lettura scoprendo quella foga inarrestabile, quasi febbricitante, nel divorare capitolo dopo capitolo, come solo a quell’età accade. Milioni di ragazze e ragazzi che si sono immedesimati e riconosciuti nelle stesse mirabolanti avventure dei protagonisti, alla continua ricerca del confine tra il bene e il male, nelle loro molto più complicate esistenze di teenagers senza poteri magici.

Dall’altra parte abbiamo una sentenza escludente e ad alto rischio discriminatorio che è appena stata confermata dalla Corte Suprema del Regno Unito: le donne trans sono state escluse dalle leggi antidiscriminatorie britanniche a favore delle donne che d’ora in poi si riferiranno esclusivamente alle persone nate biologicamente femmine. Questo significa che una persona transgender con un certificato anagrafico che la riconosce come donna non può essere considerata una donna ai fini delle leggi per l’uguaglianza codificate nell’ Equality Act del 2010.

 Una donna transgender è una persona che è stata classificata come maschio alla nascita ma che si identifica come donna. Detto altrimenti è una persona il cui sesso biologico è maschile, ma la cui identità di genere è femminile (in generale le persone transgender sono quelle la cui identità di genere non coincide con il sesso biologico). La sentenza britannica di fatto obbliga a considerare come valido dal punto di vista legale solo il sesso biologico. Secondo la Bbc, «nel censimento del 2021, 262.000 persone di età pari o superiore a 16 anni in Inghilterra e Galles hanno dichiarato che la loro identità di genere era diversa dal loro sesso di nascita; in Scozia, 19.990 persone si sono identificate come trans o con una storia trans nel censimento del 2022.

 Nel Regno unito il riconoscimento delle persone trans è normato dal Gender Recognition Act del 2004 («Gra»)

Il Gra consente alle persone trans di ottenere il riconoscimento legale del proprio genere acquisito in modo che un richiedente nato maschio diventi, per legge, una donna a tutti gli effetti». Il sesso registrato sul certificato di nascita di una persona viene modificato di conseguenza in modo da rispecchiare la sua identità di genere.

Per ottenere il certificato di riconoscimento di genere, le persone trans devono fare domanda alla Commissione per il riconoscimento del genere fornendo due certificati medici, compresa una diagnosi medica di disforia di genere e i dettagli di qualsiasi trattamento ricevuto, oltre alla prova di aver vissuto nel proprio genere acquisito per almeno due anni e una dichiarazione legale che continuerà a farlo in modo permanente.

Non è necessario che i richiedenti si siano sottoposti a un intervento chirurgico di riassegnazione del sesso o a un trattamento ormonale. La Commissione poi può approvare o rigettare la domanda. 

Negli ultimi 20 anni le richieste di cambio di sesso nel Regno Unito sulla base del Gender Recognition Act sono state diecimila, di queste solo 8.400 sono state accettate e portate a compimento. La maggioranza delle domande riguardava il riconoscimento di donne trans.

Da oggi il certificato di riconoscimento di genere smette di essere valido per il diritto antidiscriminatorio codificato nell’Equality Act del 2010 e il Gender Recognition Act del 2004 viene in qualche modo depotenziato. Rimane la possibilità di cambiare sesso, ma le donne trans non avranno le stesse tutele riservate alle donne «biologiche» (o «cisgender»). Finora invece valeva il «sesso riconosciuto» in base al Gender Recognition Act.

Una prima immediata conseguenza è che non potranno più essere contate nelle cosiddette «quote rosa» degli enti pubblici. Altre conseguenze sono meno immediate.

La Legge sull’Uguaglianza consente di riservare alle donne alcuni spazi o attività per «ragioni di privacy, decenza, per prevenire traumi o per garantire la salute e la sicurezza». Secondo le prime interpretazioni, in base alla sentenza della Corte Suprema le donne trans potranno ora essere escluse da questi spazi e attività riservate alle donne. Significa che le donne trans non potranno più gareggiare con le donne nelle competizioni sportive, né entrare in spogliatoi o bagni riservati esclusivamente alle donne.

La sentenza della Corte Suprema britannica riguarda solo le donne trans perché nasce da un ricorso contro la legge sulle quote rosa. Ma afferma un principio che in linea teorica potrà essere applicato anche agli uomini trans, cioè la prevalenza del sesso biologico sull’identità di genere. Applicando tale principio, per assurdo, gli uomini trans, che alla nascita sono stati classificati come femmine, potrebbero rientrare nelle quote rosa o negli spazi riservati alle donne, con un mancato raggiungimento dei fini e delle tutele che l’equality act intendeva raggiungere.

Come si relaziona questa sentenza a J.K.Rolling, vi starete chiedendo. L’autrice da 14 milioni di followers è la più fervente esponente del movimento For Women Scotland, che si definisce «femminista trans escludente» e che ha personalmente finanziato il ricorso sull’ Equality Act per raggiungere l’attuale sentenza.

Il suo stucchevole entusiasmo, ben documentato sui suoi profili social, per la vittoria di una legge escludente che limita di fatto i diritti di un cospicuo numero di cittadine britanniche, riconosciute in quanto donne, è un’immagine sconfortante e anche molto triste.

Penso a quelle migliaia di ragazze trans che vedevano in J.K.Rowling la loro autrice del cuore che gli aveva permesso di evadere e sognare altri mondi possibili, ma anche a tutte le femministe intersezionali che non possono che prendere le distanze da questa figura tanto potente e influente.

Perché in Harry Potter non si tratta solo di una storia di magia, ma di comunità, conforto, identificazione e, al colmo del paradosso, di valori come l’accettazione dei diversi e degli esclusi.

Ripenso alla foto che la scrittrice ha postato su Instagram nel giorno della sentenza: una donna ricca e potente, che fuma un grosso sigaro mentre con l’altra mano, ricoperta di anelli sfarzosi, innalza un calice colorato per brindare alla soppressione di alcuni diritti fondamentali per una delle categorie più discriminate della società e mi chiedo come si fa scindere la grande opera dalla sua artista.

È giusto smettere di amare Harry Potter a causa della sua creatrice? È necessario sabotare tutto ciò che ha a che fare con le sue parole e la sua persona o si può salvare l’opera, condannando solo lei?

È un tema evidentemente complesso e doloroso e che forse, come sempre, si può risolvere solo nella presa di coscienza della realtà. Forse, in questo caso, arrivare alla conclusione che J.K.Rowling si sia ispirata a sé stessa per creare Voldemort, strappa un’amaro sorriso sull’intera desolante vicenda, senza smettere di leggere e amare una saga creata da una Medea post-moderna che rinnega e ripudia le sue stesse creature.

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Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

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