Cuoio

Il cosiddetto comprensorio del cuoio di Santa Croce sull’Arno è situato fra le province di Pisa e di Firenze e rappresenta un polo produttivo di importanza internazionale nella lavorazione e la concia della pelle. Le origini del comprensorio hanno radici antiche che risalgono al Medioevo; la produzione artigianale si è trasformata progressivamente secondo criteri industriali conoscendo un vero e proprio boom nel secondo dopoguerra.

Oggi la zona è costellata di aziende che spesso collaborano fra di loro e che nel complesso costituiscono una filiera che comprende tutte le fasi dalla lavorazione della pelle fino al prodotto finito. Accanto al successo economico si sono nel tempo manifestate una serie di gravi problematiche relative all’inquinamento ambientale e alla salute dei lavoratori e della popolazione della zona. Si tratta in particolare dell’inquinamento delle acque e dell’aria, della difficoltà di gestire i rifiuti della produzione e del consumo di risorse e di impatto sulla biodiversità. Proprio problemi relativi allo smaltimento e al riutilizzo di una parte dei rifiuti hanno dato adito a irregolarità che hanno portato a inchieste giudiziarie e a un processo tuttora in corso che coinvolge anche responsabilità politiche.

Il raggiungimento di un equilibrio fra produzione e salvaguardia dell’ambiente e della salute umana sembra ancora un obiettivo difficile da perseguire. Questo ambiente e i suoi problemi sono lo sfondo del romanzo Cuoio di Gabriele Cavallini

https://www.einaudi.it/catalogo-libri/narrativa-italiana/narrativa-italiana-contemporanea/cuoio-gabriele-cavallini-9788806268534/

Pubblichiamo la recensione di Massimo Baldacci, docente in pensione di Latino e Greco che ringraziamo per la collaborazione.

La pubblicazione di questo libro da parte di Einaudi di un giovane esordiente che ha ambientato la vicenda narrata a Santa Croce sull’Arno mi ha incuriosito. Gabriele Cavallini, trentenne, è nato a San Miniato, in provincia di Pisa, è laureato in Chimica per l’industria e l’ambiente, con un’esperienza di lavoro a Santa Croce. Vive in Toscana e collabora con alcune case editrici.

 Anche se nel romanzo sono presenti alcuni spunti talvolta acuti di ricostruzione della situazione reale (la tendenza alla concentrazione delle aziende, una sempre maggiore subordinazione al mondo delle grandi firme, la rapida obsolescenza delle strutture e degli ambiti produttivi) la narrazione più che realistica vuole essere allucinata. Il processo conciario viene descritto come qualcosa che si fonda sulla morte degli animali, sullo  sfruttamento dei cadaveri e produce morte dell’ambiente. La visione del comprensorio è scorciata come in un big bang alla rovescia: le colline sanminatesi e il Padule di Fucecchio vengono fatti violentemente convergere verso un gorgo centrale che è la zona industriale di Santa Croce. La vicenda narrata è non molto  più che un pretesto per narrare questa condizione quasi metafisicamente allucinata: l’io narrante è Michelangelo Cavalcanti, ultimo discendente di una famiglia di imprenditori conciari, il cui capostipite è il nonno, fondatore negli anni ‘80 e poi vittima di un atroce fallimento economico e personale. Il padre di Michelangelo è invece chiuso in una dimensione di congelamento in un passato irrecuperabile e cerca di “coltivare il proprio giardino” su terreni poco adatti mentre la madre è scappata di casa e il fratello minore si è chiuso volontariamente in un’interiorità senza porte ne finestre.

Michelangelo fallisce una serie di prove di iniziazione a cui viene sottoposto per essere riammesso, sia pure in posizione subalterna, nella gestione del processo conciario e il suo fallimento è metafora dello sgretolarsi di un universo. Al di là di qualche caduta, proprio nella rappresentazione del mondo familiare di Michelangelo Cavalcanti, la scrittura sembra reggere a questo tentativo di costruire una visione allucinata: “Quaggiù i fabbricati si assottigliano per numero e grandezza: l’intonaco sbriciolato mostra lo scheletro nudo, i ferri arrugginiti del cemento armato. I tetti sono forati come se dovesse guardarci dentro Dio in persona. Alcuni sono messi così male che basterebbe un temporale per buttarli giù, e io so per certo che là, dove non entra più nessuno, in realtà ci vivono gli scarnatori e i pressatori, quei disgraziati che si prendono in faccia tutto il giorno il grasso e il cromo, l’acqua e la melma del fango tossico, ma nonostante questo non guadagnano abbastanza da avere un tetto sopra la testa, e allora se ne stanno accampati come animali dentro gli stabilimenti in rovina. Alla fine, sbuco sulla Statale: fabbriche di prodotti chimici si stagliano basse lungo il padule, le strade sono perfettamente levigate e più avanti, sulla destra, una salita s’inerpica tra le colline da cui si vedono spuntare soltanto ville maestose e castelli abbandonati”.

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Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

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