“Non credo di dovermi mettere a battibeccare con questa persona, lo dico per le tante donne che hanno guardato a questa vicenda come me. La mia idea su come una donna deve guadagnarsi uno spazio nella società è diametralmente opposta da quella di questa persona”.
Molti avranno già contestualizzato questa citazione nella grandine mediatica che ci ha travolto nelle ultime settimane. Mi riferisco al caso Boccia- Sangiuliano esploso il 26 agosto dopo un post sui social in cui Maria Rosaria Boccia ha ringraziato pubblicamente il ministro della cultura per la nomina di Consigliera per i grandi eventi, smentita poco dopo dal ministro stesso. Da quel momento abbiamo assistito nostro malgrado a una serie di imbarazzanti prestazioni olimpioniche di arrampicamento sui vetri, da parte di Sangiuliano, cui sono seguite puntuali documentazioni di Boccia a conferma delle sue dichiarazioni, centellinate sui social come frustate lente ma sempre più forti. Dopo una patetica e contrita confessione pubblica sulla Rai, in cui l’unica presa di responsabilità è stata abilmente spostata sul danno morale verso la moglie, il ministro si è dimesso.
Chiuso il siparietto sull’ ennesima “simpatica canaglia” che in fondo, poverino, è stato messo sulla croce per un paio di corna che dovevano semplicemente restare private, perché così è stato definito questo caso: “una questione privata trasformata in un fatto pubblico”, rimane la nomea sull’ennesima strega, pazza, invasata, arrampicatrice sociale, scegliete voi il vostro appellativo preferito che “ha fatto dimettere il ministro” (cito titoli di giornali).
Come sempre non potevamo aspettarci dalla presidente del Consiglio un approccio diverso dal prendere le distanze con giudizio e disprezzo dalla “donna così diametralmente opposta alla sua visione del mondo”. Giorgia Meloni, come ha già ampiamente dimostrato, non è femminista e conta di restare ancora a lungo dentro le maglie di quel sistema di potere che l’ha messa dov’è a patto di conservarne la forma e le regole millenarie.
Per fortuna però abbiamo altre intellettuali e attiviste nel nostro paese che possono aiutarci a far luce sull’ennesimo caso di abuso di potere in cui la vittima è una donna ed è colei che passa per carnefice.
Tutta questa vicenda non vi riporta alla luce quel lontano eppure ancora così attuale scandalo delle olgettine? Caso in cui era implicato Silvio Berlusconi e che aveva portato alla luce un sottobosco di favori, cariche istituzionali, assunzioni presso le sue reti televisive, nomine e quant’altro, elargite da un uomo di potere a persone prive di requisiti e qualificazioni specifiche, se non quelle strettamente estetiche richieste dall’allora presidente del Consiglio.
Niente di nuovo, la presidente stessa ha affermato che questo fatto non indebolirà il governo perché nessuno è saltato dalla sedia a Palazzo Chigi in seguito alla notizia. Sono dinamiche risapute, già emerse, che non si vede per quale motivo non dovrebbero continuare a reiterarsi nella semi clandestinità.
L’aspetto fondamentale su cui riflettere, come ci ricorda molto bene la scrittrice e attivista Carolina Capria, è il punto di vista da cui si osserva l’intera vicenda. Da che parte sta il potere? Chi dei due aveva il potere di portarsi l’altro in giro per viaggi ed eventi istituzionali, chi dei due ha promesso una nomina che poi ha smentito? Chi dei due poteva togliere tutto questo all’altra persona da un momento all’altro?
Si potrebbe obiettare puntando sull’ “etica” di Maria Rosaria Boccia che per vendicarsi ha raccontato tutta la verità rovinando l’immagine dell’uomo politico, ma questo è un pericolo che qualunque persona di potere rischia nel momento in cui utilizza il suo potere per elargire favori a chi pare a lui.
Carolina Capria continua la sua riflessione ragionando sull’immagine che la nostra società ci impone della vittima. Essa per risultare tale e quindi credibile deve essere immacolata, moralmente intoccabile e pura. Solo così scatta il riconoscimento del modello e decidiamo di crederle. Ma questo non è femminismo, è un condizionamento culturale patriarcale. Il passo più difficile da compiere è proprio questo: riconoscere l’abuso di potere, che in questo caso ha leso anche tutti noi considerando che sono stati usati soldi pubblici per usi privati, anche se la vittima non ci piace, anche se la nostra morale di condotta è “diametralmente opposta alla sua”. Non dobbiamo simpatizzare con lei, dobbiamo semplicemente crederle e riconoscerla come vittima simbolica di un sistema politico e istituzionale corrotto e opportunista fino al midollo, in cui figure di potere si prendono la libertà di circondarsi e favorire soggetti privilegiati utilizzando le proprie risorse politiche.
L’ex ministro Sangiuliano ha sbagliato perché ha abusato del suo potere, non perché ha tradito la moglie. Ha utilizzato i suoi privilegi pubblici a scopi personali e non è stato vittima di un ribaltamento di questioni private sul piano pubblico. Nessuna donna arrivista lo ha costretto alle dimissioni. Le dimissioni sono la naturale conseguenza delle sue azioni illecite, non la punizione eccessiva di un’amante vendicativa.
Finché continueremo a mettere la vittima sul tavolo degli imputati e scannerizzare la sua assoluta integrità morale continueremo a perdere di vista l’intera prospettiva della questione. Dobbiamo tutte e tutti fare lo sforzo di far sempre partire il nostro sguardo da chi detiene il potere, gestisce i “giochi”, stabilisce le regole in cambio di favori di vario genere e portata da parte di chi, consenziente o meno, viene fatto entrare nella sua arena.