Dal Belgio il caso delle città antifasciste

Bisbiglia. “Io sono antifascista”. 
“Come scusa, parla più forte, non sento”.
Sussurra di nuovo. “Io sono antifascista. Sì, insomma, dai. Lo so che mi hai sentita”.
“A mala pena. Perché parli così piano? Pare che te ne vergogni. ”

….

“IO SONO ANTIFASCISTA”.

….

Non è un dialogo immaginato, questo. Potrebbe essere benissimo accaduto, in uno dei miei diversi ritorni in Italia, in occasione di qualche ricorrenza storica o semplicemente chiacchierando con amiche sedute a un bar in centro. E infatti è successo: parlavamo dell’ascesa delle destre nostalgiche della Patria. Il termine antifascismo ha fatto, inevitabilmente, capolino nella conversazione, quale baluardo di democrazia e inclusione sociale, contro la prevaricazione e la sopraffazione verso chi è diverso.

Solo che la mia interlocutrice, nel momento stesso in cui si dichiarava antifascista, abbassava la voce. 

Altrove, dove si è stati capaci di evitare che il fascismo e i suoi orrori fossero incasellati in tempi storici considerati orami passati, essere antifascisti non solo è urlato nelle piazze. È, anche, ufficialmente abbracciato da interi Comuni. 

Come in Belgio. 

A Charleroi, cittadina della Vallonia, famosa per il suo aeroporto dove atterrano voli  spesso low-cost, il Consiglio comunale ha adottato, a inizio gennaio, una mozione che dichiara Charleroi “città antifascista”. Non solo. Si è arrivati all’istituzione di “coalizione antifascista” composta da partiti politici, sindacati, associazioni e membri della società civile della cittadina per contrastare la cresciuta dell’estrema destra a livello sociale attraverso azioni concrete. Chi amministra questa città vallone si impegna a impedire con tutti i mezzi legali la diffusione di dichiarazioni che incitano all’odio, al razzismo, all’antisemitismo, al sessismo, alla discriminazione legata all’orientamento sessuale, apertamente fasciste e xenofobe. 

Il 22 maggio, la città di Liegi, anche questa in Vallonia, ha seguito l’esempio di Charleroi. Pochissimi giorni fa a Namur, la capitale della Vallonia, si è svolta un’interpellanza per rendere la città “antifascista”.

Come ha spiegato a RTBF, l’emittente radiotelevisiva pubblica di lingua francofona, Benjamin Biard, politologo, dichiararsi antifascista per una città è un atto simbolico, il cui scopo non è generalmente quello di bandire una riunione politica di estrema destra dal comune, ma, per esempio, dare al sindaco la possibilità di emettere un’ordinanza di polizia per vietare qualsiasi raduno di estrema destra.

Non solo.

Dichiararsi città antifascista significa anche impegnarsi a contrastare apertamente e a monte la nascita, la diffusione e il radicarsi delle idee di estrema destra, tramite campagne di sensibilizzare della popolazione del comune, a partire dai più giovani. Nella convinzione che l’antifascismo non è un sentimento di ieri. Non può esserlo perché razzismo, odio e soprusi contro i diversi, gli altri, i deboli, sono parte della nostra quotidianità.

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Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

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