Demenza: se non andare a scuola diventa un problema medico

Lo scorso dicembre il governo talebano in Afganistan ha annunciato che alle donne non sarebbe più stato possibile accedere all’istruzione universitaria (alle ragazze era già stato negato l’accesso alle scuole secondarie). È una notizia tremenda. Una negazione dei diritti umani. E una risoluzione che apre le porte a un serio problema sanitario: c’è un’intera fetta della popolazione (quella femminile) a rischio di demenza. Perché se le donne sono statisticamente più inclini degli uomini a sviluppare malattie mentali, come Alzheimer e altri disturbi psichici, le cause non sono solo organiche. L’assenza di istruzione è uno dei fattori di rischio. E nel mondo, in alcune parti del mondo, le donne hanno ancora minor possibilità di accedere a programmi scolastici e universitari. 

Le cose stanno così.

Nel mondo, secondo l’OMS, sono oltre 55 milioni le persone che convivono con una forma di demenza. Un dato destinato a salire, con previsioni che raggiungono i 78 milioni entro il 2030.

Sono soprattutto le donne a soffrire di queste malattie che colpiscono il sistema cerebrale. Un’indagine condotta nel primo decennio degli anni Duemila con il finanziamento della Bill&Melida Gates Foundations e pubblicata su Lancet Neurology, con dati raccolti in 195 paesi, mostrava che degli allora 40 milioni di individui colpiti da demenza, 27 milioni erano donne. Queste, rispetto agli uomini, sono però spesso diagnostiche con demenze in una fase in qui la malattia del cervello è già in fase avanzata – e alla base c’è, spesso, un problema di interpretazione dei sintomi: i test neuropsicologici diagnostici si basano molto sulla memoria verbale ma in questo le donne ottengono risultati mediamente migliori degli uomini, nonostante la presenza della malattia di Alzheimer nelle fasi iniziali. Così, si stima che circa il 20% delle donne riceva una diagnosi ritardata! Non solo: uomini e donne differisco anche per le manifestazione delle forme di demenza, al punto che le donne ricevono spesso diagnosi di depressione, là dove invece si tratta di Alzheimer.

Ci sono ragioni biologiche, legate ai cambiamenti ormonali, che spiegano come mai più donne che uomini soffrano di demenze, e poi bisogna tenere in considerazione il fatto che la popolazione femminile vive più a lungo di quella maschile, rimanendo quindi più esposta a una malattia che colpisce soprattuto nella terza età.

Ma non solo. Infatti un crescente numero di ricerche suggerisce che per comprendere come mai le donne si ammalino di più di malattie del cervello sia necessario attribuire maggiore attenzione al contesto socio-culturale che è strettamente legato al genere, e cioè al ruolo che noi occupiamo all’interno della società. Tanto per iniziare, circa due terzi dei caregiver (le figure che rivestono ruoli di cura, a partire dai nuclei familiari) sono donne e poiché il percorso diagnostico della malattia di Alzheimer può durare anni e richiede un investimento significativo in termini di tempo e risorse (anche personali), questo può rappresentare un problema specifico per le donne che, impegnate appunto nel ruolo di assistenza verso altri, non si recano (subito) dal medico per questioni che le riguardano in prima persona.

Poi c’è un altro fattore, tra tutti quelli – circa una ventina – che sono di impedimento per una diagnosi tempestiva: a preoccupare la scienza è anche il minor livello di istruzione delle donne rispetto agli uomini, tipico di un passato non affatto lontano e del presente di numerose zone del mondo così come di situazioni sociali a noi vicine. 

Da un lato sono note ai ricercatori le difficoltà con le quali i medici di base sono confrontati nella diagnosi di demenza là dove i loro pazienti non parlano “la lingua del luogo” in cui si trovano o hanno un basso livello di alfabetizzazione e istruzione. Ad esempio, uno studio pubblicato su The Lancet Public Health nel 2021 ha rilevato che le disuguaglianze nei livelli di istruzione sono una variabile che può farci comprendere come mai ci siano sostanziali differenze nell’invecchiamento cognitivo tra uomini e donne, differenze che vanno a sommarsi alle disparità associate al rischio di demenza e legate alle differenze di sesso.

Dall’altro è emerso che a partire dalle donne nate tra il 1946 e il 1955, il gap, ovvero le differenze legate alla capacità di memoria, si è ridotto tra i due generi: questi cambiamenti, secondo gli scienziati, potrebbero essere parzialmente spiegati dall’aumento del livello di istruzione nelle donne negli anni. Insomma, se – come conferma uno studio guidato dalla University of Southern California e pubblicata sul Journals of Gerontology già nel 2018 – più è alto il profilo di istruzione, più è facile che la degenerazione cerebrale tardi a manifestarsi, l’aumento delle opportunità educative per le donne può quindi ridurre le differenze di sesso nel rischio di demenza per le generazioni future.

E così, con riferimento alla correlazione tra il livello di istruzione e il declino cognitivo, torniamo all’Afganistan (ma purtroppo si potrebbero fare diversi esempi di situazioni dove le donne non posso studiare al pari degli uomini, nel Sudamerica a situazioni sociali di marginalità e povertà nel mondo Occidentale): non poter andare a scuola (e non poter lavorare) secondo le proprie aspirazioni non è solo un affronto ai diritti individuali di ciascuno di noi ma è anche un problema di equità sociale con critiche ricadute cliniche.

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Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

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