Diventiamo più seri imparando a ridere?

‘Diventiamo più seri: impariamo a ridere’, diceva Giovannino Guareschi

Era il 2009. Il mio secondo anno in Svizzera. A Zurigo si teneva un’esposizione multimediale dedicata all’umorismo elvetico: Witzerland, giocando con la parola Switzerland, che senza la S, letteralmente in tedesco, diventa “paese delle barzellette”. L’umorismo nel titolo l’avevo colto, ma non posso dire lo stesso per quel che riguarda il contenuto esposto.

Esiste un tipo di umorismo che un po’ tutti troviamo divertente e poi c’è un umorismo ‘esclusivo’. Il primo trova forma in un intrattenimento largamente basato su ‘azioni’ che prendono forma in contesti neutri (la stazione, l’aereoporto, il parco), mentre il secondo ci si manifesta attraverso un uso specifico del linguaggio, nei giochi di parole. 

Pensiamo all’umorismo che gioca con somiglianze e, più spesso, divergenze tra gruppi: non è universale. Il riso può venire, o non arrivare affatto, lasciandoci allora spiazzati. Questo umorismo mette in chiaro il nostro livello di appartenenza a un gruppo; crea cameratismo o, di contro, disagio. È successo a tutti, di sentirsi in imbarazzo per avere fatto un commento ‘fuori luogo’, una battuta che si pensa divertente ma che non fa ridere chi ci sta ascoltando. E che dire di quando ci siamo sentiti incapaci di comprendere come mai gli altri attorno a noi stessero ridendo per qualche cosa di detto, che a noi lasciava assolutamente impassibili?

Attraverso l’umorismo ha modo di esprimersi la Weltanschauung – la visione del mondo – di una nazione intera, di un gruppo, ma anche le sue contraddizioni. Il British humor, ad esempio, va spesso a braccetto con buona dose di sarcasmo e spirito autodenigratorio, espressione di un popolo che ama mettersi in fila, chiede scusa, sorry, con una frequenza eccessiva (per noi italiani, per lo meno!), mette il politically correct sopra ogni cosa. L’umorismo italiano, di contro, ha una dimensione più tragicomica. 

In diverse nazioni e contesti, battute, barzellette, caricature diventano indizi rivelatori, registrando, come un termometro, i gradi del clima circostante, taboos, libertà e tolleranza. Capire perché gli altri ridono, per capire chi sono, gli altri. Ma anche capire perché ridiamo, per comprendere chi siamo oggi e chi potremmo diventare domani. L’umorismo è una sfida contro identità statiche e immobili, come ci insegna il comico inglese Ricky Gervais che – dichiara – nei suoi sketch ride di persone malate e ai margini della società per denunciare indifferenza verso certe malattie e forme di emarginazione! 

Per finire, non si può non spendere un pensiero sul rapporto fra politica e umorismo, anche nella sua forma di satira. I governanti e chi sta al potere sono spesso i primi a fornire, perfino involontariamente, la materia prima ai comici. Nelle democrazie, per lo meno. O così si auspica. Ma non in tutte le democrazie si ride. In alcune prevale la percezione che induce a compiacersi di guai e catastrofi di varia natura; in altre domina un linguaggio piatto, privo di brio, ma impostato sulla gravità e moralismo. Troppa seriosità, denunciava Claudia Mäder sul quotidiano svizzero NZZ un po’ di tempo fa: «Mehr Witz, bitte!». In Italia, al contrario, il rapporto politica-umorismo è particolarmente delicato. I comici sono messi a dura prova, perché: chi sono i comici e chi i politici?

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Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

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