Elogio del Non lo so

Molti anni fa, per lo spettacolo finale dell’Accademia teatrale che ho frequentato, dovevamo preparare un monologo a scelta, attingendo liberamente dal vasto repertorio della letteratura teatrale internazionale. Io scelsi una lunga poesia di Mariangela Gualtieri intitolata “Monologo del Non so” tratta dalla raccolta “Fuoco centrale” e immaginai che a recitarla fosse una giovane donna sul patibolo, pochi istanti prima che venisse dato fuoco alla catasta di legna ai suoi piedi.


Tra le strofe lei ripeteva più volte come un mantra di non sapere, in una sorta di dichiarazione di innocenza, nel riconoscimento della sua natura puramente umana, in contraddizione con le accuse di stregoneria che la credevano potente e onnisciente. Il monologo si chiudeva su una strofa straziante in cui lei chiedeva perdono proprio del suo non sapere, del suo non essere ciò che gli altri si aspettavano che fosse.


Questo brano rimasto quieto e silente nella mia memoria per anni è riemerso dopo aver letto il saggio di Vera Gheno “Le ragioni del dubbio” uscito per Einaudi nel 2021.
La sociolinguista affronta il tema delle modalità di intervento nelle discussioni pubbliche, un fenomeno che negli ultimi anni, con lo sviluppo e la moltiplicazione degli spazi sociali su internet, è diventato il fulcro di un vivo e complesso dibattito.
Il saggio si sviluppa nell’analisi delle tre parole chiave del metodo DRS, ideato dall’autrice per riuscire a districarsi nell’intricato e spesso in gran parte sconosciuto mondo delle parole e del loro migliore utilizzo nella comunicazione, ossia: DUBBIO, RIFLESSIONE, SILENZIO.

Mi interessa soffermarmi in particolare sul primo termine citando direttamente Vera Gheno che scrive: “Purtroppo, ci siamo convinti che siccome le informazioni, in linea di massima, sono a portata di mano, possiamo sapere tutto. Ma acquisire un’informazione non vuol dire conoscere: non coincide nemmeno con il capirla. L’accesso all’informazione permesso da internet non ci ha dotati automaticamente della conoscenza, che va invece perseguita con fatica.”
Quanto contrasta questa apparentemente banale osservazione con la realtà che osserviamo ogni giorno sui social, per esempio, dove il dibattito su qualunque argomento, dalla geopolitica alla medicina, si fa campo di scontro feroce tra tuttologi pieni di certezze incrollabili.


E ancora l’autrice aggiunge: “La rete ci ha messo in mano un megafono, ma non le istruzioni per usarlo bene. Il dibattito pubblico è diventato davvero pubblico: meno esclusivo, più disordinato, più simile a un vociare da bar che non a una diatriba informata e tanti, troppi, non si rendono conto dei limiti delle loro conoscenze. Si chiama effetto Dunning-Kruger: una distorsione cognitiva che porta le persone non molto competenti in un certo campo a sovrastimare le proprie conoscenze e a promuoverei esperte, con tutte le conseguenze del caso.”
Conseguenze gravi, aggiungo io, in cui realtà distorte da informazioni parziali o manipolate se la giocano a chi urla più forte.


Il contesto sociale in cui viviamo ci spinge costantemente ad esprimere la nostra opinione su tutto, come se noi dovessimo e potessimo avercene una.
La riflessione di Vera Gheno invece punta proprio sulla rivalutazione dell’importanza del dubbio. Viviamo intricati in una complessità di stimoli ed eventi che si sono evoluti molto più velocemente della nostra presa di coscienza. Siamo spesso disorientati e non c’è nulla di grave nell’ammetterlo. Porsi il dubbio su ciò che abbiamo letto o ascoltato rappresenta il primo passo verso la costruzione di un dibattito virtuoso perché “sapere di non sapere” traccia la strada dell’approfondimento e della riflessione, che è il secondo grande pilastro del metodo esposto dall’autrice.


“Sono consapevole degli argomenti di cui posso parlare con cognizione di causa?
Sono consapevole delle parole che sto usando?
Mi sento pienamente responsabile di tutto ciò che dirò e scriverò?
Ho ben chiare le mie intenzioni comunicative?
Mi sono espressa/o nel migliore dei modi a mia disposizione?”

Un incanto questa lista di domande, non è vero? Idealmente ce le dovremmo porre tutti prima di aprire bocca su qualunque questione.
E non è finita qui, perché il terzo punto su cui indaga l’autrice riguarda proprio la probabilità che in questa auto-definizione del limite del nostro sapere, ci si renda conto che l’unica via che ci rimane da percorrere è quella del silenzio.

Ammettere di non avere un’opinione su una determinata questione, o non conoscerla abbastanza per esprimersi non è una vergogna, ma una potente manifestazione di maturità.


Ammettere di non sapere dà un grande senso di liberazione e apre infinite possibilità di crescita sia intellettuali che umane. Tendiamo a credere che non partecipare sempre attivamente al dibattito pubblico ci renda agli occhi degli altri inadeguati e ignoranti, quando in realtà ci permette di ascoltare, porci domande senza esporci, rischiando al contrario di intaccare la nostra credibilità.
Sono le certezze incrollabili a porre dei limiti alla conoscenza, non le domande e tanto meno il silenzio.

E di fronte a queste preziose riflessioni che il saggio di Vera Gheno mi ha regalato ripenso con tenerezza a quel personaggio teatrale che ho creato a vent’anni, come dimostrazione di ciò che avevo appreso in quegli intensi anni di formazione. Una giovane donna che grida al pubblico: “Non lo so, e chiedo perdono per questo.”


Ed eccomi qui, quindici anni dopo, a riconoscere che non so e non comprendo ancora molte cose, ma con la ferma determinazione di non volermi più scusare, perché questo è il mio modo per approcciarmi alla complessità: accettando di essere in costante ricerca, disposta sempre a cambiare idea e a scegliere anche il silenzio quando serve.

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