Fare politica sul corpo delle donne

Il 24 giugno la Corte Suprema degli Stati Uniti ha preso la sua decisione rovesciando di fatto la sentenza Roe vs Wade. Da questo momento l’interruzione di gravidanza non sarà più un diritto costituzionale, bensì determinato a livello federale dai singoli Stati, sette dei quali hanno già introdotto il divieto all’aborto per un totale di ventisei Stati a rischio.

Una legge sancita nel 1973, conquistata in anni di lotte e manifestazioni, è stata cancellata, scuotendo una nuova generazione di donne che nel 2022 non si aspettavano di certo di dover scendere in strada a gridare contro un’ingiustizia tanto insulsa proprio al fianco di quelle stesse donne che non si aspettavano a loro volta di doverci tornare per riaffermare gli stessi sofferti diritti.

Eppure nella “più grande democrazia del mondo” ciò che si temeva è diventato un fatto e anche molto grave perché, come ha commentato la scrittrice Michela Murgia, propone un metodo di conflitto sull’aborto che sarà utilizzabile da tutto il conservatorismo mondiale: far passare la libertà delle donne dal piano assoluto a quello relativo e da lì disinnescarla.

Senza tener conto dell’impatto sociale che questa decisione causerà: il 75% delle donne che decidono di abortire negli Stati Uniti si trovano nella fascia di reddito più bassa e il 60% hanno già figli. È facile dedurre la complessità se non l’impossibilità assoluta per queste donne di affrontare “il viaggio della speranza” per raggiungere lo Stato più vicino in cui sarà ancora possibile effettuare un aborto.

Esistono poi una serie di conseguenze dirette che una squadra di scienziati sociali ed economisti ha tentato di esporre con dati tangibili alla Corte Suprema, ma che sembrerebbero essere stati accolti con insofferenza da parte dei membri stessi. Le gravidanze non volute portano a conseguenze fisiche gravi per le donne, ma anche a conseguenze economiche, psicologiche, sociali di lungo termine (indebitamento, licenziamento, sfratto, separazione, con relativi stati depressivi e conseguenze negative per la salute).

Un enorme flagello sociale che va ad abbattersi su un’America sempre meno egualitaria.

Ora il punto è un altro. Come è già avvenuto di fronte a grandi crisi internazionali dal forte impatto mediatico, siamo tutti più o meno sconvolti dalla notizia e adeguatamente informati sugli ultimi sviluppi, gridiamo allo scandalo e ci chiediamo come sia possibile che un paese tanto evoluto e democratico possa avere una caduta legislativa così retrograda.

Sempre Michela Murgia ci fa notare che in Italia una situazione analoga è successa già da tempo:“ I margini di intervento da regione a regione sulla applicazione della 194 sono infatti già così ampi che chi nasce a Cosenza, con l’obiezione oltre 80%, ha meno possibilità di scegliere di chi nasce ad Aosta, che ha meno del 20%. Formalmente la 194 vale in tutto il Paese, ma la differenza di esercizio del diritto di scelta è ampio quanto quella che da stato a stato si prospetterà per gli USA. Al muro dell’obiezione bastava aggiungere un banale regolamento regionale, furberia burocratica che ha permesso all’Umbria, per esempio di obbligare le donne a tre giorni di ricovero per avere il farmaco RU486, rendendo loro
impossibile il riserbo nella decisione, anche se giovanissime o in situazioni di violenza e precariato.

Indubbiamente la macchina politica che falcia diritti per abbonirsi una grossa fetta di elettori non rappresenta una novità nel nostro panorama storico e non si fermerà di certo a questo caso eclatante. Si vocifera già di nuove “correzioni” che la Corte Suprema ha intenzione di applicare su sentenze storiche come le unioni gay o la contraccezione.

Può cambiare però l’approccio con cui tendiamo ad acquisire ed elaborare determinati eventi, smettendo di scandalizzarci subito per poi voltare la faccia da un’altra parte, quando nuovi interessi o informazioni toccano più da vicino il nostro piccolo orticello.

L’America non è così lontana come crediamo e purtroppo storicamente possiamo osservare ondate di “tendenze” culturali e sociali, per non definirle dottrine, che hanno influenzato e determinato la vita e la morte di milioni di persone.

Il potere di leggere e interpretare la realtà per quella che è, rimane l’unica via al dissenso coeso e compatto, quello che mobilità le persone e riempie le strade, quello che non si può fingere di ignorare perché fa molto rumore.

La partita dell’aborto come quello al diritto di studiare, o persino di potersi mostrare in pubblico vanno viste per quelle che sono: gigantesche battaglie culturali e politiche sulla pelle delle donne.

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Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

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