Nell’arte le radici del mio femminismo?

Al liceo il professore di arte accendeva la lavagna luminosa e ci mostrava immagini di quadri di artisti rinascimentali italiani, poi pittori fiamminghi, talvolta opere dell’Impressionismo, più spesso reperti, gioielli, anfore romani o tardo medioevali. Lo appassionava la storia del III e IV secolo, gli anni della caduta dell’Impero Romano d’Occidente in particolare, e non lo nascondeva. Diceva “silenzio”. E noi tutti a guardare quello che ci veniva messo davanti agli occhi. Dopo minuti interminabili, diceva, semplicemente, “allora?” e in classe si aprivano disquisizioni senza fine. Non subito. I più riservati, me inclusa, tacevano di fronte all’invito a condividere con il resto della classe le proprie impressioni sull’opera d’arte. Parlo per me: non vi era disinteresse verso la materia. Piuttosto una consapevolezza socratica, quel “so di non sapere”, che sfociava in un “meglio che stia zitta”.

Il professore – non ricordo più il suo nome, forse Antonio – era calvo e teneva i pochi capelli rimasti piegati di lato, una moda che era terribile a vedersi ieri e oggi. Ogni mattina si alzava alle cinque e, con la sua borsa sgualcita in pelle, si metteva in treno: oltre due ore di viaggio per arrivare in classe e metterci in silenzio. Liberandoci poi da quel vuoto di parole, invitandoci proprio a riempirlo, quel silenzio, con le nostre impressioni sul quadro, artefatto o scultura in mostra e le nostre relative emozioni. Come dicevo, dopo qualche iniziale titubanza, tutti partecipavamo. Le mie osservazioni erano per lo più di carattere descrittivo, c’è un albero qui, un lago là, un volto sorpreso, corrucciato e così via. Il mio compagno di classe Mauro era molto bravo a offrire uno sguardo introspettivo sul perché e per come l’autore aveva disegnato, colorato o scolpito in un certo modo.

Non un giudizio, non un commento, non una smorfia: il professore ci ascoltava composto. E solo poi iniziava il suo fiume di parole. Partiva da lontano, dal contesto storico dell’opera per arrivare alle tecniche usate. Ci spiegava chi era l’artista e chi il committente. Non mancava di aggiungere qualche aneddoto privato, di solito si trattava di amore segreto o di un furto legato all’oggetto in questione.

Al professor Antonio (ammesso che questo fosse il suo nome) non ho più pensato da anni. Fino a ieri. 

Gli occhi di Monna Lisa, scritto da Thomas Schlesser, è un libro molto intenso, umano e commovente. Racconta la storia di una bambina che sembra essere a rischio di perdere la vista e del suo nonno, Dadé, che ogni mercoledì la porta al Museo del Louvre. Prima che la nipote diventi cieca, l’anziano desidera farle vedere alcuni dei capolavori artistici custoditi tra le mura museali. Anzi: desidera che la giovane non solo guardi ma colga le proprie emozioni di fronte al quadro “della settimana”, si soffermi sui dettagli, descriva quello che ha di fronte e lo interpreti, facendolo in qualche modo proprio. Attraverso dialoghi talvolta un po’ troppo sofisticati e poco realistici – quando provo a pensare di usare le stesse espressioni con mio figlio di dieci anni, la stessa età della protagonista, non posso che immaginarlo stranito – il nonno, con la sua arte maieutica, avvicina la nipote all’essenza del quadro e lo colloca nel mondo. L’opera non è più una tela appesa alla parete ma si fa viva, ricca di significati, qualche simbolismo, tanta “carne”.

Dunque, leggendo le pagine molto belle del romanzo di Schlesser, mi è immediatamente tornato in mente il mio professore di arte al liceo. Anche lui, come il nonno protagonista del libro, cercava di condurci con delicatezza oltre le apparenze, al di là di superficiali commenti, suscitando in noi dubbi e quesiti, dando vita a pensieri.

Ma forse non avrei scritto questi paragrafi, questo post, se non fosse stato per un’opera precisa che ho ritrovato in Gli occhi di Monna Lisa e che già il professor Antonio ci aveva mostrato in classe. Un’opera che, con gli occhi di oggi, mi pare abbia fortemente ma inconsapevolmente, contribuito alla mia lotta quotidiana per i diritti delle donne. Al mio femminismo.

Si tratta di L’allieva interessante, dipinto del 1786 circa a opera di Marguerite Gérard. Riprendo alcuni passaggi del romanzo che descrivono il quadro: Seduta di profilo su una panchetta, con indosso un abito crinolina di raso bianco, c’era una giovane donna dai capelli ricci raccolta in un’acconciatura. La giovane viene ritratta impegnata a studiare una stampa. Ma il dettaglio più sorprendente si trovava nell’angolo in basso a sinistra … una pesante sfera metallica …. il riflesso convesso mostrava con chiarezza l’immagine in miniatura di una pittrice al cavalletto ...

Non ho letto oltre. La mia mente è tornata a quella classe liceale, a me in seconda fila, ai miei compagni di classe con gli occhi fissi su quello stesso quadro proiettato. E la voce del professore, che come nonno Dadé, ci invitava a guardare quella sfera – cosa non facile a dire il vero dato la scarsa qualità del proiettore. 

“Nella sfera c’è una donna che dipinge”, silenzio nella classe. “Si tratta dell’allieva interessante che dà il titolo all’opera”, di nuovo silenzio. “E’ la autrice stessa del quadro”. Non avrà pronunciato, il mio professore di liceo, proprio queste parole ma ciò è quello che “sento” quando ripenso a quella lezione di storia dell’arte. E ricordo anche come mi sia era parso così ingiusto che l’autrice del quadro si fosse fatta piccola piccola, ritratta in un angolino in basso del quadro. E come poi avessi pensato che invece quella donna era “forte”, a mettersi un un quadro realizzato in un mondo dominato dal genere maschile.

Il fatto è che a oltre duencento anni di distanza le donne, in molte funzioni, situazioni e occasioni, rimangono rilegate ai bordi delle vicende. E magari sono anche un po’ stanche di lottare. Però non si arrendono, come Marguerite Gérard. Il seme del mio femminismo sta dunque in una lezione di arte?

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Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

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