Gino Strada e il rifiuto assoluto della guerra

Se non ci avesse lasciato l’estate scorsa, oggi Gino Strada farebbe sentire forte e chiara la sua voce contro la follia della guerra.

E sarebbe una voce netta e inequivocabile, a cui un’intera vita spesa al servizio della pace impedirebbe di appioppare la facile etichetta, oggi frequente, di “imbelle pacifismo”. Giunge perciò quanto mai opportuna la pubblicazione di quella che è “non un’autobiografia (—) ma quello che ho capito guardando il mondo in tutti questi anni in giro”.

Il rifiuto radicale della guerra in ogni suo forma non rappresenta per Gino una pura enunciazione ideologica ma la coerente acquisizione   delle sue esperienze come chirurgo di guerra. Sulle orme del pensiero di Einstein giungerà alla conclusione della necessità, per la stessa sopravvivenza del genere umano, che la guerra diventi un tabù assoluto, non solo per il pericolo dell’ecatombe nucleare ma anche per le enormi e inutili sofferenze che le cosiddette guerre convenzionali infliggono soprattutto ai civili e in particolare ai bambini.

Il libro appena pubblicato è il frutto di un lavoro a cui Gino stava lavorando da tempo insieme alla moglie, Simonetta Gola che lo ha completato e pubblicato dopo la sua morte. Si tratta di una serie di riflessioni sulle esperienze di Gino Strada   che ci chiariscono il punto di arrivo del suo percorso esistenziale e della maturazione del suo pensiero Dopo alcuni anni di attività presso l’ospedale di Rho, nel 1989 decide di compiere un’esperienza in Pakistan, in un Centro chirurgico per feriti di guerra della Croce rossa, spinto soprattutto dal desiderio di vivere nuove esperienze professionali in un Paese del cosiddetto Terzo mondo

Alle spalle ha una preparazione d’eccellenza maturata nel campo dei trapianti, prima a Milano e poi negli Stati Uniti, dove aveva in realtà rifiutato una vantaggiosissima offerta di lavoro, “Che senso ha praticare la medicina in un Paese dove per potersi curare la gente deve tirar fuori la carta di credito?” -scrive a proposito di questa scelta.

Qui troviamo uno dei caposaldi della sua idea di medicina, maturata negli anni della contestazione studentesca che aveva investito anche la pratica di questa disciplina.

Il diritto alla salute per tutti come principio inderogabile sarà una linea guida fondamentale di tutta la sua attività.  

La decisione di partire è dovuta anche al sui desiderio di mettere in pratica   le conoscenze  nel frattempo acquisite nel campo della chirurgia traumatologica e nella cura delle vittime di guerra. Al suo arrivo nel 1989 il Pakistan è un Paese almeno formalmente in pace ma dal vicino Afghanistan arrivano, con viaggi massacranti e pericolosi, i feriti della guerra che  continua anche dopo il ritiro dei sovietici.

Particolarmente sconvolgente è per Gino la constatazione che, fra i pazienti con ferite di guerra, vi sia un altissimo numero di bambini, vittime dei cosiddetti “pappagalli verdi”, mine antiuomo  di fabbricazione sovietica disseminate in molte zone dell’Afghanistan, dall’aspetto allettante di giocattoli e quindi pensate per colpire  i bambini. In generale l’Afghanistan era ed è tuttora disseminato di mine antiuomo concepite per colpire soprattutto i civili.

Gino Strada prenderà coscienza che l’Italia era uno dei massimi produttori ed esportatori di questo tipo di mine e condurrà una campagna d’opinione culminata nel 1997 con una legge approvata dal Parlamento italiano per la loro messa al bando. Con la Croce Rossa Gino Strada lavora per cinque anni in zone di guerra in tutto il mondo; le sue esperienze sono raccontate nei suoi due libri precedenti.

Nel 1994 con “un gruppo di matti”, amici e collaboratori, fra cui la prima moglie Teresa Sarti che  ne sarà  Presidente fino alla morte avvenuta nel  2009,  decide di   dar vita  a Emergency, un’organizzazione umanitaria per la riabilitazione delle vittime di guerra.

Inizia così, in modo un po’ pionieristico, l’organizzazione della missione in Ruanda, allora al centro di una crisi umanitaria. “Iniziammo a procurarci tutto il materiale di cui avevamo bisogno. La cantina di casa iniziò a riempirsi. Bonarda e barbera e rossi di Toscana si mescolarono con fleboclisi e antibiotici, bende e gessi, siringhe e strumenti chirurgici”. 

Emergency basa la propria azione sul diritto inalienabile a  cure mediche di qualità  per tutti senza alcuna discriminazione,  ma anche sulla diffusione di una cultura di pace e sull’impegno militante per l’abolizione della guerra.

È una Ong indipendente e neutrale riconosciuta e dalla sua fondazione ha operato fino a oggi in 19 Paesi, curando oltre dodici milioni di pazienti.  Emergency ha costruito inoltre ospedali, centri chirurgici, centri di riabilitazione, centri pediatrici, ambulatori e poliambulatori, ha contribuito alla formazione di personale sanitario e finanziato progetti di sviluppo In tal modo ha acquisito un prestigio universale che ha permesso ad esempio all’organizzazione di continuare ad operare   in Afghanistan anche dopo il ritiro degli Usa e dei loro alleati.

Le strutture realizzate e le cure mediche praticate da Emergency sono sempre d’avanguardia nella convinzione che anche nel Sud del mondo “(…) si possa -e si debba -fare una medicina con standard di cura elevati” rifuggendo da ogni forma di “mentalità colonialista”.

Per quanto riguarda il conflitto in Ucraina, Emergency è attiva per l’assistenza ai profughi in  Moldavia e in Italia e per l’invio di medicinali all’ospedale di Kiev.

Gino Strada continua dunque a vivere nell’attività quotidiana di Emergency che cipermette in questi tempi cupi di continuare a pensare che il vero realismo sia quello di operare per prevenire i conflitti con concrete azioni di pace e di favorire sempre la loro  composizione pacifica.

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Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

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