Giornalismo: un mestiere pericoloso?

Si è tenuto a inizio giugno il 31esimo congresso della Federazione internazionale dei giornalisti (IFJ). Al centro delle discussioni, il tema del giornalismo e dell’informazione di qualità quali beni pubblici che devono essere protetti, così come deve essere garantito l’operare di coloro che lavorano nei media. Lo ha ricordato Anthony Bellanger, segretario generale della IFJ, in un’intervista alla rivista di Syndicom: non può darsi un giornalismo di qualità se chi lavora in questo settore non è messo in condizione di svolgere la propria professione!

Oggi tra le principali sfide per chi opera nei media va annoverata la sicurezza personale, messa a repentaglio da violenze e anche da attacchi mortali, così come da molestie sessuali e di genere. I numeri non sono particolarmente rassicuranti, ma qualche cosa si sta muovendo. Ecco in che modo.

Andiamo per ordine, e partiamo da un numero: 20. Tanti sono lavoratori nel campo dell’informazione e media che sono stati assassinati da inizio anno ad oggi. Se guardiamo agli ultimi 10 anni, i giornalisti e le giornaliste uccise sono state 535; tra il 1990 e il 2020 i morti salgono a oltre 2600: nel solo Iraq hanno perso la vita 340 operatori dei media e in Messico 178; nelle Filippine i giornalisti assassinati sono stati 160. Purtroppo, 9 su 10 uccisioni rimangono impunite. A questi numeri vanno poi sommati quelli dei giornalisti che si trovano attualmente in carcere in 34 paesi. Sono 235 persone (nota: dato del 2020). A ciò va sommato il numero, non meglio precisato, di coloro che sono stati mutilati per quello che hanno scritto oppure ripreso.

Nel 2006, l’IFJ ha promosso una campagna per la sicurezza dei giornalisti, con il risultato che il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha adottato la risoluzione 1738 la quale invitava i governi a proteggere i giornalisti. Ciononostante, da quando è stata approvata la risoluzione, sono comunque stati uccisi circa 1492 giornalisti. Altri strumenti sono stati sostenuti sia a livello ONU sia a livello regionale, ad esempio ci si è mossi affinché sia affrontata esplicitamente la questione dell’impunità delle uccisioni, soprattutto di coloro che lavoravano nelle redazioni locali e sono stati presi di mira per aver coperto conflitti, corruzione o violenza di gruppo nelle loro comunità.

C’è poi la questione delle violenze sessuali e di genere. Secondo i risultati di un’indagine condotta nel 2018 dalla Federazione Internazionale dei Giornalisti, due terzi delle giornaliste (64%) hanno subito violenza di genere online e soffrono degli strascichi di tali abusi sia a livello psicologico sia a livello professionale. In un rapporto più recente condotto dall’UNESCO e dall’International Center for Journalists (ICFJ) alla fine del 2020, che ha coinvolto giornalisti di 125 Paesi, il 73% delle donne intervistate ha dichiarato di aver subito violenza online. Il risultato è paradossale: da un lato, le giornaliste hanno bisogno dei social media per profilarsi e promuovere il loro lavoro giornalistico, dall’altro lato è proprio sui media che diventano target di abusi. Eppure, abbandonare il mondo dei social, renderebbe le donne che lavorano nei media “invisibili” anche dal punto di vista lavorativo. “Trattare la violenza online come una parte prevista del lavoro è inaccettabile”, ha affermato Nadine Hoffman, vicedirettore della International Women’s Media Foundation (IWMF). In tal senso, desta preoccupazione che molte colleghe abbiano denunciato una forma di passività da parte di colleghi quando si sono trovate ad affrontare abusi online, come ricordato dal presidente dell’IFJ, Philippe Leruth. Non c’è solo violenza online, purtroppo. Il citato rapporto dell’UNESCO evidenza che ben il 22% delle giornaliste che hanno risposto al sondaggio ha subito abusi e attacchi fisici.

Contro i soprusi nei confronti dei giornalisti è stata approvata, tra le altre, la Carta etica mondiale dei giornalisti nel 2019 e sempre su questo tema ha preso posizione il Comitato esecutivo del FIJ nel 2020. Inoltre, sono stati definiti quadri internazionali sui diritti umani concepiti specificamente per proteggere i giornalisti, quadri che le società di comunicazione online dovrebbero garantire, offrendo ad esempio la possibilità di denunciare e segnalare abusi e molestie online consentano.

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Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

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