Giorni e nuvole: il benessere ha i piedi d’argilla

Genova, 2006. Elsa (Margherita Buy) e Michele (Antonio Albanese) sono una coppia benestante sposata da vent’anni (che definiremmo quasi ‘radical chic’) e che vive in un attico nel centro storico, lui lavora come imprenditore in una ditta affermata e lei sta per conseguire la laurea in storia dell’arte, con la quale sta lavorando, senza stipendio ma solo per passione, per riportare alla luce un antico affresco sul soffitto di un edificio della città. Tutto sembra procedere per il meglio quando il marito dà una festa in casa invitando centinaia di amici per la laurea della moglie con tanto di banda musicale, è l’apice della loro gioia e della loro realizzazione. Il sogno però è già finito. Da mesi Michele ha perso il lavoro, i suoi soci lo hanno escluso dalla guida dell’azienda che aveva fondato per divergenze affaristiche e ha tenuto all’oscuro moglie e figlia fino alla fine. L’attico ipotecato viene svenduto e così tutte le certezze e gli agi di una vita si volatilizzano, è la prima crisi alla quale però i due non sembrano perdersi troppo d’animo. Michele è convinto di poter trovare in fretta un nuovo ruolo dirigenziale in qualche azienda per la sua esperienza e le sue capacità; Elsa decide di metterci del suo, di andare a lavorare, come tante donne e mogli, accettando un posto in un call center e poi come segretaria notturna. La figlia Alice (Alba Rohrwacher), in preda ai tumulti di ventenne in rotta coi genitori, va presto a vivere col fidanzato. La famiglia perde la reggia nella quale abitava (finendo in uno dei tanti condomini della giungla metropolitana) ed è costretta a vendere anche la barca delle gite nel golfo e a rinunciare agli altri lussi come i viaggi esotici, che poteva permettersi fino a poco tempo prima. Il rapporto tra Elsa e Michele però, anche se la figlia non vive più con loro, continua a peggiorare fino alla quasi totale rottura nel loro nuovo appartamento, poiché i ruoli si sono invertiti senza una parità. Chi porta a casa lo stipendio è Elsa ora e lui, il marito disoccupato di mezz’età, non vuole accettare mansioni o lavori inferiori a quelli che ha sempre ricoperto da alto borghese intellettuale, accettando però alla fine di diventare un saltuario fattorino e poi l’imbianchino nel palazzo dove vive. Come conseguenza al peggioramento delle loro condizioni di vita, c’è anche la frustrazione sentimentale oltre che economica della moglie, che ha perduto il prestigio sociale e ha rinunciato al suo sogno di storica dell’arte per fare almeno due lavori a tempo pieno, non si sente più apprezzata né desiderata dal marito depresso e senza più prospettive: è il punto di non ritorno, un’ansia che si avverte per tutto il film, a volte in modo irrespirabile, come lo è il nostro sistema economico.

Giorni e nuvole è un film (di produzione italo-svizzera) del 2007 diretto dal milanese Silvio Soldini. Qui siamo lontani dalle atmosfere sognanti, dalle commedie colorate e dalle fiabe moderne di “Agata e la tempesta” o “Pane e tulipani”; la crisi non ha veri lieti fine e prelude il peggio di una recessione decennale per tutta l’Europa. Solo all’inizio si intravede la romantica passeggiata al tramonto del quartiere genovese di Nervi, dove Michele regala un bellissimo brillante alla moglie per i suoi traguardi di studio, ma è un’immagine effimera, che sparisce presto dentro all’instabilità di una famiglia, anzi, della famiglia italiana borghese che precipita dalla scala sociale e deve reinventarsi per non perdere tutto.

Un altro aspetto che emerge nel film è quello della flessibilità, concetto nuovo ai tempi nel mercato del lavoro italiano, che era un’altra parola per indicare il precariato sociale ed economico: i ruoli non all’altezza per Michele e che sono presentati nei colloqui come una capacità di adattarsi a tutti i nuovi contesti con ottimismo e “positività” (non ci fa venire in mente anche la stra-abusata ‘resilienza‘?). La figlia sembra essere conciliante quando il padre va a chiederle ospitalità, cacciato dalla moglie, a lei non interessa realmente l’agio familiare, ma solo la serenità tra le mura domestiche, metafora delle nuove generazioni abituate a non aver mai avuto certezze rispetto ai loro genitori. E sullo sfondo la stupenda Genova, lugubre, minacciosa, ma anche calda e misteriosa, che assiste indifferente ad un disfacimento e poi a una ricomposizione familiare.

Il dramma di Soldini è modernissimo ed attualissimo perché mostra quel processo di ristrutturazione del mercato che non si è mai arrestato e che ha decisamente posto fine al mondo e ai suoi rapporti che conoscevamo solo qualche decennio fa.

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