I giovani votano a destra: sono xenofobi?

Il concetto di frontiera non ha mai fatto parte dei miei vent’anni. Passavo confini non solo con la mente ma anche fisicamente senza praticamente accorgermene. Ora ero di qua; poco dopo di là. E di fatto, l’unica ragione che mi rendeva consapevole di quel valicamento doganale era, per lo più, legato a cambiamenti linguistici. Viaggiavo con leggerezza, sentivo di appartenere un po’ a ogni luogo che incrociavo nel mio cammino. Come saranno i vent’anni dei miei figli? Potranno liberamente muoversi da un luogo all’altro senza doversi fermare e dichiarare generalità, motivo del passaggio, luogo di destinazione, durata della permanenza? Potranno apprezzare la ricchezza, il piacere, lo straniamento, la differenza.. insomma tutti quei sentimenti che ci sono dati di esperire nell’incontro con l’altro?

Mobilità e migrazione stanno assumendo un carattere sempre più politicizzato nel dibattito pubblico e politico europeo. A pochi mesi dalle elezioni del Parlamento europeo continua a crescere il successo dei partiti populisti i quali cercano di fare un uso pubblico della storia delle migrazioni, non mancando mai di sottolineare le differenze tra “noi migranti” e “i nuovi migranti”. Gli slogan, in diverse lingue, sono più o meno gli stessi: quando siamo partiti noi eravamo in regola, non come chi arriva dal Mediterraneo. E ancora: noi abbiamo lasciato la nostra patria per andare a lavorare. Oggi a partire sono “i cervelli” in fuga, mentre i nuovi arrivati ci rubano il lavoro. E immancabilmente: gli immigrati non rispettano le nostre leggi, valori e religione. E così via…

Retoriche che piacciono non solo a chi è davvero emigrato in passato ma anche, e moltissimo, ai giovani. Nel ballottaggio delle elezioni presidenziali francesi dell’anno scorso, il 39% dei votanti di età compresa tra i 18 e i 24 anni e il 49% di coloro che avevano tra i 25 e i 34 anni hanno dato il proprio sostegno a Marine Le Pen. Alle elezioni politiche del 2022, Fratelli d’Italia era il partito con il maggior numero di sostenitori tra le persone con meno di 35 anni – con il 22% dei voti.

In Spagna, nel 2019 il 34% dei sostenitori per il partito ultraconservatore Vox aveva meno di 35 anni. In Olanda, il l PVV è il pià grande partito tra gli elettori dai 18 ai 34 anni; in Svezia nel 2022 il 22% dei votanti tra i 18 e i 21 anni hanno espresso il loro supporto del Sverigedemokraterna (Democratici Svedesi di destra). In Germania il partito di destra-destra, Alternative für Deutschland (AfD), capeggia tra gli under 20. In Austria e in Belgio si osservano trend simili.

Ma dov’è finita la generazione Erasmus, quella generazione europeista che gode delle libertà offerte dall’Unione Europea, che apprezza viaggiare tra i paesi e che parla inglese?

Una generazione Erasmus che non c’è 

L’Erasmus ha creato la prima generazione di giovani europei. Io la chiamo una rivoluzione sessuale, un giovane catalano incontra una ragazza fiamminga, si innamorano, si sposano, diventano europei come i loro figli“, diceva Umberto Eco. Lanciato nel 1987, il programma Erasmus, (l’European Region Action Scheme for the Mobility of University Students) ha portato 4,4 milioni di ragazzi a studiare oltreconfine. La cifra sale a oltre nove milioni se si aggiungono ad esempio anche gli scambi fra giovani volontari, il personale Erasmus Mundus. Sembrano numeri alti. Apparentemente.

Il problema è che stiamo parlando di meno del 2% della popolazione europea. In Italia, secondo i dati dell’Institute for Statistics dell’UNESCO, sono 84.449 unità gli studenti mobili, con un’incidenza dell’1.3% su totale. Altro che generazione Erasmus!

Anche se il 2017 aveva fatto ben sperare, seguendo diversi record per il programma Erasmus (con l’investimento più altro di sempre da parte dell’Unione Europea e il maggiore coinvolgimento di persone – con un amento del 10% rispetto al 2015/2016), i dati raccolti dai diversi sondaggi Eurostat mostrano il dato stabile di circa il 98% dei giovani europei che non ha mai preso parte agli scambi Erasmus. E anche in un anno particolarmente positivo per il programma Erasmus (il 2017), secondo Eurostat, l’87 per cento degli italiani under 35 non ha mai trascorso un soggiorno di una notte all’estero preferendo viaggiare in Italia. Secondo altri dati Eurobarometro, sono il 52 per cento degli italiani non è mai stato in vita sua in un altro paese dell’Unione europea. Ma questo vale anche per altri paesi membri dell’UE: quasi il 40% dei cittadini europei non ha mai visitato alcun altro stato dell’Unione. Sei anni dopo questi rilevamenti, i programmi di scambio come l’Erasmus o il volontariato civile rimangono estranei alla maggior parte dei giovani europei, e sono soprattutto gli universitari ad andare all’estero.

Il peso dei motivi economici

Con la crescita dell’inflazione e del costo della vita, andare all’estero – per l’Erasmus o un’esperienza di volontariato – è una prerogativa di pochissimi. Secondo i dati del sondaggio ESNsurvey XV, le attuali sovvenzioni del programma Erasmus+ coprono solo il 50% dei loro costi a detta di oltre la metà dei partecipanti, mentre il 37% degli oltre 7.000 studenti intervistati ha sottolineato come i soldi siano “insufficienti per coprire i costi della vita all’estero”. E anche là dove alla borsa dell’Ue si aggiungano contributi di autorità locali o di singoli atenei, raramente il sostegno finanziario riesce a coprire tutte le spese legate allo scambio all’estero. Così, oggi, scrive Lorenzo Ferrari per la Rivista il Mulino nel 2022, “se sei figlio di professionisti, hai il 50% di probabilità in più di partire per l’Erasmus rispetto a un tuo compagno di corso figlio di operai”. Come stupirsi se, secondo quanto riportato da un sondaggio di Eurobarometro del 2018, il 52 per cento di chi ha tra i 15 e i 24 anni (e si “affaccia alla vita”) tendeva a fidarsi dell’Unione Europea ma la percentuale tra chi ha tra i 25 e i 34 anni (e si è forse fatto della precarietà e austerità una ragione) scendeva al 46 per cento? Oggi temo che il livello della fiducia non sia migliorato affatto.

E in questo contesto, per riprendere l’analisi di Ferrari, perché mai la chiusura delle frontiere dovrebbe rattristare i trentenni, i ventenni o diciottenni di oggi, se tanto non si spostano e non si sono mai spostati dal proprio paese e non “conoscono” l’EU? Che cosa potrà mai interessare loro della mobilità internazionale o della praticità della moneta unica?

Tutti xenofobi?

Eppure, parlare di dilagante xenofobia tra i giovani che, alla prova del voto, sono più propensi a sostenere chi invoca politiche restrittive in materia di immigrazione, sarebbe riduttivo. E anche poco utile per costruire una proposta narrativa alternativa e efficace contro le barriere. 

Lo ha ricordato in un’intervista a The Guardian a fine 2023 Catherine de Vries, politologa e docente presso l’Università Bocconi. Il voto alle destre anti-immigrazione va legato anche alle insicurezze economiche che le nuove generazioni vivono: precarietà sul lavoro, l’inesistenza di un reddito sufficiente, il mancato accesso all’istruzione e a un’assistenza sanitaria adeguata.

Le destre populiste, con il loro motto “prima i nostri”, promettono anzitutto di risolvere questi problemi. Sempre il The Guardian riporta una testimonianza di un giovane olandese che racchiude questa visione: “Non sono un razzista perché ho votato per Wilders – dice – Mi frustra che gli immigrati ricevano più aiuto dal governo rispetto ai cittadini olandesi; ma non sono contro l’Islam; non voglio che le moschee vengano chiuse. Penso solo che dobbiamo controllare meglio l’immigrazione.”

La buona notizia è che dovremmo smettere di assumere che esista un allineamento culturale o ideologico tra i giovani e l’estrema destra, concentrando invece gli sforzi a risolvere i problemi concreti di chi dovrebbe essere – per definizione – “parte della generazione Erasmus” ma non lo è. Sarà capace l’elite progressista, che ha fatto l’Erasmus e che si presenta al prossimo appuntamento elettorale, farsi carico di questa consapevolezza?

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Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

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