Un’intervista a Christoph Zürcher, politologo e professore di relazioni internazionali presso la Graduate School of Public and International Affairs dell’Università di Ottawa in Canada diventa un’occasione per discutere della dura realtà e delle sfide della cooperazione internazionale. E delle ragioni del successo di Emergency.
Protetto in un SUV blindato, portato in giro senza mai avere praticamente accesso alla popolazione locale, senza poter mai avvicinarsi alla gente del posto, segnata da povertà, violenza e paura, nel 2017 Christoph Zürcher ha condotto uno studio sull’efficacia della cooperazione internazionale negli Stati fragili, che – per usare le parole del professore in un’intervista ad Alliance Sud – sono quelli dove “la domanda su cosa coltivare in campo la stagione successiva o se i bambini debbano andare a scuola difficilmente può trovare risposta” a causa dell’incertezza generale.
Ne è uscito un rapporto piuttosto critico sulla cooperazione internazionale, che è incapace di trasformare i Paesi fragili. Un dato, questo, che in pochi sono disposti ad ammettere. Questo perché nonostante gli sforzi nell’istruzione, nella sanità e nello sviluppo rurale, i progressi sono spesso vanificati dalla situazione politica, economica e sociale del paese ricevente gli aiuti. Insomma, “l’idea che si possa trasformare un Paese come l’Afghanistan in una Danimarca con strumenti di cooperazione internazionale è ingenua. Il problema principale è che, dopo 20 anni di lavoro in Afghanistan, lo sapevamo e abbiamo continuato comunque come prima”, afferma Zürcher.
Ma questo non significa che non si debba fornire alcun sostegno? Che tutto è allora perduto? E che tutti i soldi investiti sono stati gettati al vento? Forse. A meno di non impegnarsi veramente in un confronto aperto e sincero sulle strategie da adottare per la cooperazione internazionale in contesti fragili, accettando che la democratizzazione e il buon governo, sebbene obiettivi auspicabili, potrebbero non essere realistici in contesti lontani da noi. Resilienza, aiuti umanitari e progetti mirati al benessere delle persone sono le parole chiave per una cooperazione internazionale che sia di successo, che insomma faccia la differenza e che sia quindi fedele all’imperativo morale di fornire sostegno alle persone in difficoltà, indipendentemente dalla natura del governo in carica.
In quest’ottica acquisisce centralità l’adozione, nei limiti del possibile, di programmi su base locale, quindi orientati alla popolazione del Paese. Si tratta, per Zürcher, di operare in piccoli contesti, orientando le proposte ai bisogni delle persone e senza aspirazioni di trasformazione.Belle parole. Ma i fatti, si potrebbe chiedere? Esempi di un agire internazionale che sia guidato da un impegno ad essere essere presente a lungo termine e a realizzare progetti in modo partecipativo, ce ne sono?
Sì. E un nome tra tutti: l’associazione umanitaria Emergency. Come ci ha ricordato Raffaela Baiocchi, che è ginecologa e con Emergency lavora in Afghanistan (qui l’intervista completa a Radio Mir). “Viviamo in contatto con la gente del luogo, con le donne. L’Afghanistan è in guerra da 40 anni, dilaniato da conflitto permanente che ha devastato il Paese, creando un contesto di profonda insicurezza, soprattutto nelle aree rurali, dove la criminalità dilaga. Quando nel 2023 sono arrivati i primi medici di Emergency, inizialmente, le donne afghane erano restie a recarsi presso il nostro centro. Ad esempio, temevano che il personale internazionale, non conoscendo la loro cultura, non avrebbe rispettato la natura intima del parto. Con il tempo, però la presenza di professionisti di Emergency sul campo si è radicata anche grazie al coinvolgimento della popolazione locale. I dati parlano chiaro: il tasso di mortalità neonatale e materna in Afghanistan è crollato. L’intervento di Emergency sta anche favorendo l’emancipazione delle donne afghane, offrendo accesso all’accesso all’istruzione e corsi di formazione per il personale sanitario, dunque combattendo contro la discriminazione di genere”.
———
Tra l’altro, mentre concludo questo articolo, non posso che aggiungere una postilla: ricordare Emergency e quindi il suo fondatore, il medico Gino Strada, in questi mesi (anni) di guerra è necessario anche perchè ci permette di (ri)portare nello spazio del dibattito pubblico una voce netta e inequivocabile contro la guerra, che per il chirurgo deve diventare un tabù assoluto per la stessa sopravvivenza del genere umano, a partire dalle enormi e inutili sofferenze che i conflitti bellici infliggono ai civili, e in particolare ai bambini.