Il Covid e quei bambini che non vanno a scuola: si allarga la forbice tra ricchi e poveri

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Il Covid e quei bambini che non vanno a scuola: si allarga la forbice tra ricchi e poveri
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Non si può mai essere preparati, completamente, per un lockdown. Ma alcuni paesi lo sono (stati) più di altri. E alcune scuole anche. Quando la scorsa primavera il Consiglio federale in Svizzera ha deciso di sospendere la didattica in presenza, il figlio di un’amica, a Zurigo, si è ritrovato in classe virtualmente assieme ai compagni. Ognuno con il proprio laptop, ognuno da casa propria, a scambiarsi sorrisi rassicuranti con la docente e sguardi d’intesa con gli amici. Quella è una scuola privata. Nel Cantone Ticino, mio figlio per le settimane del lockdown ha ricevuto fotocopie di compiti, lasciate nella bucalettere dalla maestra, casa per casa. E anche quando la didattica in classe è ripartita, la presenza è stata a giorni alterni. Quello che frequenta il mio primogenito è un istituto pubblico. 

La chiusura delle scuole in tempo di pandemia sta aumentando le divisioni di classe? 

Se lo chiede anche l’Economist in un reportage apparso sul numero di metà febbraio. In Olanda, the Herman Wesselink College da anni fornisce ai propri studenti laptop personali e affrontare la didattica a distanza è stato piuttosto poco complicato. Diverso il caso del Mundus College, un’istituto in una delle zona più povere di Amsterdam: un terzo dei propri allievi sono immigrati o rifugiati, molti dei quali non hanno accesso alla tecnologia a casa. Come in Romania, dove le scuole primarie sono state chiuse da marzo dello scorso anno all’8 febbraio 2021 e per 12 mesi un quarto degli studenti non ha avuto accesso al digitale. Dunque non ha potuto seguire alcuna didattica online. Per quasi un anno intero…

L’accesso all’istruzione ai tempi della pandemia solleva disuguaglianze etniche e di classe acuendo le divisioni sociali. Secondo il Ministero per l’educazione francese – citato nell’articolo dell’Economist –  il divario tra gli studenti frequentanti scuole in zone povere e disagiate francesi e il resto della popolazione studentesca è aumentato di 7 punti. Mentre uno studio olandese sottolinea come il background dei genitori influisca sulla preparazione (o inadeguata preparazione) degli studenti durante il lockdown: là dove non c’è il docente, mamme e papà devono improvvisarsi maestri, ma non tutti sono in grado di assumere il ruolo, soprattutto se si tratta di immigrati, che hanno già in partenza difficoltà con la lingua dei testi di scuola. 

Le cifre previste dalla Banca Mondiale sono allarmanti: nel mondo, le chiusure delle scuole legate al COVID rischiano di portare altri 72 milioni di bambini in situazioni di povertà di apprendimento – il che significa incapacità di leggere e comprendere un testo semplice entro i 10 anni.

Uno studio condotto nella primavera dello scorso anno mostra che in Inghilterra, negli istituti privati, il 51% degli studenti delle scuola primarie e il 57% della scuole secondarie hanno usufruito di lezioni online ogni giorno, il doppio rispetto alle scuole statali. Inoltre, il 60% delle scuole private e il 37% delle scuole nelle aree più ricche avevano una piattaforma online funzionante per interagire con gli alunni, mentre il dato scende al 23% nelle scuole più disagiate. E se circa il 30% delle scuole statali più benestanti ha potuto offrire tablet e dispositivi digitali agli alunni bisognosi, solo 15% delle scuole nelle aree più disagiate ha potuto farlo.

Oltre l’Atlantico, negli Stati Uniti, dove circa il 10% dei bambini americani frequenta scuole private e dove oltre 100.000 scuole sono state chiuse, molti istituti scolastici in zone benestanti hanno fornito testi scolastici, pennarelli e altro materiale necessario, mentre i genitori hanno dovuto provvedere al resto: accesso a Internet, iPad e “angoli di studio tranquilli in case ben arredate, piene di pianoforti, libri e cucine di legno di buon gusto”, come scrive il New York Times. Naturalmente non tutti i nuclei familiari si sono potuti permettere i costi della scuola in digitale, provocando salassi finanziari e accrescendo le difficoltà economiche di genitori costretti a svolgere anche tre quattro lavori per arrivare a fine mese per permettere al figlio di “andare a scuola” (costi digitali annessi), salvo poi essere al lavoro e non in casa per aiutare i bambini a fare il log in necessario per accedere alla didattica a distanza e navigare tra finestre e programmi del sistema online.

Ma c’è di più. In alcune zone del mondo, dove l’istruzione online è ancora un miraggio, la chiusura delle scuole significa addirittura la fine della fanciullezza. Per Save the Children, sono addirittura 2 milioni e mezzo le bambine che, senza la frequenza scolastica, rischiano di essere date in sposa nei paesi dove la pratica è legale. In India, ad esempio, solo il 13% delle persone che abitano nelle zone rurali – e di queste solo l’8,5% delle femmine – ha accesso a internet. E le bambine di famiglie in situazione di povertà, senza scuola, sono avviate al lavoro minorile e anche matrimoni anzitempo, come denuncia il World Economic Forum.

Certo, gli sforzi per colmare il divario di accesso all’istruzione tra gli alunni più poveri e i loro coetanei più privilegiati erano già in stallo prima della pandemia in molte zone del mondo, anche in quello Occidentale. Nel Regno Unito, ad esempio, a inizio 2020, il Dipartimento per l’Educazione ha riportato, per il secondo anno consecutivo, un leggero aumento dell’indice del divario dei risultati degli alunni. Il rischio, però, è che queste disuguaglianze aumentino. 

La pandemia di Covid-19 ha infatti dimostrato che il divario digitale deve essere chiuso a un ritmo molto (più) veloce. Non sarà facile. E se non c’è una bacchetta magica, sembra comunque inevitabile un rinnovato impegno politico a investire nell’istruzione per fornire le giuste opportunità a tutti.

 

Per un maggiore impegno politico nell’istruzione, di Valeria Camia

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Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

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