Il post sui tanti modi di essere svizzeri pubblicato tempo fa da Sconfinamenti mi suggerisce di parlare di come ho maturato la mia personale via alla “svizzeritudine”.
https://sconfinamenti.info/due-o-ottomila-modi-di-essere-svizzeri/
Ho capito definitivamente di essere (anche) svizzero quando mi sono accorto che le mie reazioni a osservazioni critiche, anche fondate, su determinati aspetti della realtà svizzera, fatte spesso da italiani, erano sempre più connotate da un tasso eccessivo di suscettibilità da parte mia. In pratica, mi sono reso conto che stava scattando lo stesso meccanismo che molti italiani, me compreso, conoscono bene rispetto al loro Paese. Siamo insomma nel campo del “certe critiche le posso fare io ma da te straniero non le accetto”. Nel mio pluridecennale rapporto con la Svizzera, fatto di periodi trascorsi nella Confederazione intervallati da periodi di permanenza in Italia ho avuto spesso verso i due Paesi gemischre Gefühle, sentimenti contrastanti e altalenanti. Oggi credo di aver raggiunto un equilibrio nei miei atteggiamenti verso i miei due Paesi di appartenenza e questo mi ha consentito di decidere serenamente di continuare a vivere in Svizzera, senza nascondermi che non si tratta di un Paradiso terrestre e senza rinnegare la mia parte italiana.
La forte presenza italiana in ogni settore, la vicinanza con la penisola mi consentono del resto di mantenere un rapporto vivo e continuo con l’Italia.
In Svizzera ho fatto le mie prime esperienze di lavoro continuative come insegnante, sfuggendo in tal mondo alla Via Crucis del tormentato percorso di un precariato fatto dell’attesa estenuante di supplenze brevi che caratterizza i primi passi della carriera di un insegnante italiano. Inoltre, il mio arrivo in Svizzera ha segnato una svolta importante anche sul piano strettamente personale
La massiccia immigrazione italiana del secondo dopoguerra in Svizzera ha incontrato all’inizio q difficoltà che oggi si possono considerare in gran parte superate.
Gli svizzeri hanno imparato a conoscere e amare l’Italia mentre non si può dire altrettanto della Svizzera da parte degli italiani.
In realtà il mio legame sempre più consolidato nel tempo non riguarda in prevalenza genericamente l’intera Confederazione ma in particolare la città di Zurigo dove ho trascorso la maggior parte dei miei anni svizzeri e dove ho deciso di rimanere anche alla fine del mio percorso lavorativo.
Del resto l’attaccamento alla propria piccola patria locale è un sentimento molto diffuso in Svizzera che potremmo definire come un Paese fatto di tante piccole patrie con lingue nazionali e culture diverse a cui si aggiungono quelle dei tanti stranieri che vivono qui, che anche senza il passaporto rosso, sono parte integrante della realtà odierna del Paese. Una politica di naturalizzazione più generosa di tanti stranieri ormai integrati nella realtà elvetica sarebbe senz’altro positiva. Questo processo è ostacolato dalle correnti xenofobe purtroppo presenti anche qui che tendono ad attribuire agli stranieri tutti i mali del Paese, dimenticando il contributo economico e civile che essi apportano.
Il benessere diffuso è oggi naturalmente un tessuto connettivo per una realtà così complessa ma sicuramente non l’unico, visto che la Svizzera ha costruito e difeso la propria coesione in tempi più difficili di quelli attuali.
Un rapporto analogo a quello con Zurigo caratterizza il l mio rapporto con la realtà italiana che si concentra in particolare sui luoghi e le persone a cui sono stato e sono particolarmente legato. Al primo posto viene il legame speciale con Pisa, la città della mia formazione culturale e politica dove vivono tuttora i membri della mia famiglia di origine e dove ho amicizie consolidate nel tempo. Questo legame si esprime anche con il tifo appassionato per la locale squadra di calcio che naturalmente va al di là di un fatto meramente sportivo,
Insomma, la mia Heimat, è plurale da un punto di vista linguistico e culturale. La Svizzera e l’Italia sono due Paesi che per fortuna dal 1991 consentono la doppia cittadinanza per cui ad un certo punto è stato naturale per me iniziare la complessa e costosa procedura per diventare cittadino svizzero.
Con l’acquisizione della cittadinanza ho approfondito il mio senso di appartenenza alla realtà elvetica, corroborato anche dalla partecipazione alla vita politica che, in un sistema di democrazia diretta che apprezzo particolarmente, oltre a richiedere di votare per le varie assemblee elettive, comporta anche di esprimersi, in quattro tornate elettorali nel corso di ciascuna anno, su numerose e specifiche questioni di interesse locale e nazionale. Essere elettori costanti e informati sulle questioni più diverse è un esercizio tanto stimolante quanto impegnativo.
Quasi per una sorta di predestinazione il mio primo viaggio oltre frontiera, ai tempi del Liceo, fu proprio nella terra di Guglielmo Tell. La settimana di vacanza trascorsa in terra elvetica fu caratterizzata dal maltempo che si protrasse fino agli ultimi giorni quando, giunti a Berna in un bellissimo campeggio lungo le rive del fiume Aar, esplose letteralmente il bel tempo, consegnandomi un’immagine completamente diversa del paesaggio svizzero, resa ancor più gioiosa dal contrasto con il tempaccio dei giorni precedenti.
Zurigo invece l’avevo vista in una precedente giornata di pioggia e nel tempo mi erano rimasti impressi soprattutto i colori bianco e azzurro dei suoi impareggiabili tram che mitigavano in qualche modo il grigiore metereologico
Oggi, da pedone convinto, i mezzi pubblici della città, soprattutto i tram, sono una parte importane della mia vita e posso dire che provo nei loro confronti un forte attaccamento.
Questo sentimento mi accomuna a tanti concittadini tanto che a Zurigo esiste un museo dei trasporti cittadini e un’associazione che si prefigge di mantenere in buono stato di conservazione tram ormai fuori sevizio e riservati a corse speciali.
La proverbiale efficienza della rete dei trasporti della Confederazione, che permette di raggiungere con una certa comodità anche i luoghi più sperduti, è considerata un altro elemento di coesione nazionale.
In sostanza sono convinto che la mia Zurigo sia comunque un buon posto per vivere, dove, per chi ovviamente non versa in una condizione di indigenza, (ebbene sì, la povertà esiste anche in Svizzera!) sono assicurate le condizioni esteriori di un’esistenza soddisfacente. Un altro elemento importante è il verde presente in città con un vasto bosco facilmente raggiungibile a piedi da casa mia, meta prediletta di passeggiate di varia lunghezza che ho potuto compiere in piena sicurezza anche durante la pandemia.
I problemi non mancano in una regione linguistica genericamente definita tedescofona dove in realtà vige un bilinguismo fra il cosiddetto tedesco standard e il dialetto svizzero, impiegato in molte relazioni quotidiane e personali.
Non padroneggio il dialetto locale e questo naturalmente crea un certo distacco da alcune persone che, se in certi momenti può rendere difficoltose le relazioni sociali, dall’altro favorisce la mia natura introversa. Del resto, ho sempre amato la riservatezza e questo, se forse non corrisponde allo stereotipo che molti svizzeri hanno degli italiani, ha reso più facile la mia integrazione in quanto è un elemento del carattere nazionale come la puntualità che ho sempre praticato e apprezzato ancor prima di calcare il suolo elvetico.
Sono stupito dello stupore di tanti amici italiani che non si raccapezzano della mia decisione di vivere in terra elvetica, scelta che non riesco fino in fondo a motivare razionalmente.
Ci sono ragioni della testa e ragioni del cuore; le ultime uno non le può spiegare ma le sente dentro di sé.
Naturalmente continuo ad amare l’Italia ma ne so vedere anche gli aspetti critici con occhio più distaccato di chi ci vive.
In ogni caso credo che un’identità plurinazionale sia un antidoto efficace al provincialismo e al sovranismo.