Il pianeta che non c’è

Extraterrestre portami via / Voglio una stella che sia tutta mia / Extraterrestre vienimi a cercare / Voglio un pianeta su cui ricominciare!

Questi versi di una canzone di Eugenio Finardi del 1978 mi sono tornati in mente riflettendo sull’illusione coltivata da molti che la scienza e la tecnica siano in grado di risolvere in modo miracolistico le drammatiche emergenze ambientali che l’umanità deve urgentemente affrontare.

In un ambito al confine fra fantascienza e realtà si colloca la speranza di colonizzare un altro pianeta dove almeno una parte dell’umanità potrebbe trovare rifugio.

Non manca la versione distopica di questa improbabile prospettiva, secondo la quale la colonizzazione di un ipotetico Pianeta B sarebbe riservata ad alcuni privilegiati, magari appartenenti a quella ristretta oligarchia politico-finanziaria che sta contribuendo in modo decisivo a rendere inabitabile la nostra povera Terra. All’interno del nostro sistema solare, Marte sembrerebbe il pianeta meno inadatto a ospitare esseri umani.

Con le tecnologie attuali è ipotizzabile che il Pianeta rosso sia raggiungibile in “soli” sei-nove mesi di viaggio. La colonizzazione della Luna potrebbe essere una tappa intermedia per poi puntare su Marte e in effetti verso il nostro satellite è prevista nel 2024 una missione spaziale che, fra l’altro, dovrebbe vedere per la prima volta una donna calpestare il suolo lunare. Le missioni esplorative verso la Luna e successivamente verso Marte dovrebbero essere, secondo qualcuno, il preludio alla creazione di vere e proprie colonie umane.

I problemi da risolvere per rendere sia la Luna che Marte effettivamente abitabili e compatibili con la fisiologia e con la psicologia umane sono diversi ma egualmente complessi.

In alcuni casi vengono formulate ipotesi su come risolverli ma, ammesso che sia veramente possibile tradurle in realtà, questo richiederebbe un periodo di tempo molto lungo e senz’altro incompatibile con l’urgenza dei concreti problemi che l’umanità deve nel frattempo affrontare per la propria sopravvivenza sull’unico pianeta attualmente disponibile.

Resta il sospetto che a far balenare utopie di questo genere sia chi persegue in realtà progetti molto più concreti di progressiva militarizzazione dello spazio; in questo caso dallo spazio anziché una speranza di salvezza arriverebbe un’ulteriore minaccia per la sopravvivenza dell’umanità.

Lasciando da parte questa inquietante prospettiva militaristica, Michel Meyer, premio Nobel per la Fisica nel 2019 per la scoperta di un nuovo pianeta al di fuori del sistema solare, in un’intervista a il manifesto del 12 febbraio scorso, non ha escluso la possibilità  che esista un pianeta abitabile per gli esseri umani nella nostra galassia ma al di fuori del sistema solare;  anche nell’ipotesi  più ottimistica esso si troverebbe comunque  a una distanza tale da risultare irraggiungibile per qualsiasi spedizione umana. Solo la fantasia artistica ha immaginato la possibilità di raggiungere pianeti lontani, con risultati non sempre incoraggianti, come sa chi ha visto di recente il film Don’t look up.  

A questo punto è proprio il caso di dire che è meglio tenere i piedi per terra; la responsabilità di evitare o, almeno, di arginare le conseguenze drammatiche delle crisi ambientali spetta alla politica e all’economia e implica scelte coraggiose e complesse.

La scienza e la tecnica potranno essere di aiuto in questa difficilissima impresa, ma non potranno certo fornire soluzioni miracolose o comode scorciatoie.

“Non esiste un Pianeta B”, lo slogan fatto proprio dai movimenti ambientalisti di tutto il mondo, è insomma una verità da cui non si può prescindere e che chiama anche ognuno di noi ad assumersi le responsabilità che ne derivano.

Seguici

Cerca nel blog

Cerca

Chi siamo

Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

Ultimi post

Terrorismo

Il termine terrorismo deriva dal verbo latino terrere che significa “intimorire, incutere paura”. Nel linguaggio politico moderno entrò in uso per indicare una determinata fase della Rivoluzione francese.

Leggi Tutto »