Il problema dell’empatia nelle parole della patrona d’Europa

Si chiama Il problema dell’empatia (titolo originario Zum Problem der Einfühlung) il libro che mi sono ritrovata tra le mani di recente e che ho deciso di rileggere. Finito tra gli scaffali più alti della mia libreria (una semplice, ma alta, libreria Billy), l’ho “rivisto” grazie al mio gatto, che si era arrampicato pericolosamente (per i miei libri, non certo per lui, che ha sette vite) sui piani alti del mobile. Non ho una perfetta memoria dei libri che conservo, lo ammetto, e forse dovrei catalogare tomi e romanzi, ma non sono ancora così tanti – mi giustifico – e quindi ne perdo di vista alcuni. Putroppo capita anche ai testi importanti, come appunto a Il problema dell’empatia della filosofa Edith Stein, tre le patrone d’Europa (ma in quanti lo sanno?).

Avevo avuto modo di leggere Il problema dell’empatia alcuni anni fa. La copia che conservo è piena di sottolineature, parecchie note ai bordi dei paragrafi. Un mio commento, in matita sottile, recita “ricerca della verità”. Credo di aver letto l’opera di Edith Stein per via dei miei studi su Husserl, del quale la filosofa fu allieva. Ne parlo ora, in questo post, per via del concetto di empatia che divenne centrale nel pensiero di Stein e che oggi credo andrebbe “valorizzato” con più forza: empatia…l’esperienza cosciente che un “Io” ha di un altro “Io”.

“...colgo l’altro non solo come corpo, ma come corpo vivente, come essere vivente: oltre il corpo, colgo il soggetto che vi abita, colgo l’altro come persona spirituale e scopro che i suoi gesti, le sue parole sono motivati dalla sua struttura personale”.

Si tratta di rendersi conto dell’altro/a senza farsi “uno” con esso/a. Si tratta di riconoscere la realtà vissuta da chi mi sta di fronte, senza che avvenga necessariamente una partecipazione emotiva con l’alterità. Perché ciò che l’empatia attesta è invece la possibilità di entrare in relazione con l’alterità; l’empatia attestra la possibilità di un Io di comprendersi come aperto a qualcos’altro.

Si tratta di un atto, quello empatico, fondamentale e al tempo stesso profandamente difficile dal momento che una relazione empatica può avvenire, scrive Stein, solo là dove ciascuna delle parti sperimenta l’altra come “totalità che possiede un senso”.

Ho ripensato al pensiero della filosofa mentre ascoltavo le notizie dal mondo, dalle ultime elezioni in Olanda, a quelle freschissime in Argentina, dalla guerra ancora in corso in Ucraina alle violenze a Gaza. Siamo rinchiusi nella prigione della nostra particolarità, senza che lo spirito dell’altro riesca a parla al mio spirito.

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