Il sistema carcerario italiano a confronto con l’Europa

La prima casa che mi fu proposta per essere presa in affitto, quando arrivai in Belgio tre anni fa, aveva un muro adiacente a quello della prigione cittadina. Si trovava — e ancora si trova! — in un quartiere molto curato di Lovanio, una delle più belle città delle Fiandre. Su tre piani, con interni tutti messi a nuovo, e grandi finestre, esposte a sud e affacciate su una strada poco trafficata, percorsa da ciclisti e pedoni. Ma di fianco al carcere, appunto. Non si tratta di un’anomalia. Carceri “nel cuore della città” si contano a Brussels, nel quartiere di Saint-Gilles ad esempio, e a Milano con il San Vittore; anche a Roma il carcere di Regina Coeli si trova a pochi minuti dal Vaticano. Ma al di là di somiglianze per così dire di posizione urbana, cos’altro hanno in comune queste carceri? Spazi limitati, conflitti con la comunità residente, difficoltà di sicurezza e impossibilità di ampliare o modernizzare le strutture?

Che il sistema carcerario italiano rappresenti una delle sfide più complesse per la giustizia nazionale e per la società nel suo complesso è noto. Sovraffollamento, infrastrutture obsolete e tassi di recidiva elevati: la questione non riguarda solo le carceri che ancora si trovano nel cuore dei centri abitati. Ma cosa succede negli altri paesi dell’Unione Europea?

Secondo i dati più recenti forniti dal World Prison Brief nel 2025, l’Italia conta circa 51 mila detenuti a fronte di 50 mila posti ufficialmente disponibili, con conseguente sovraffollamento prossimo al cento per cento in molte strutture, soprattuto in alcune regioni del Sud, e peggioramento delle qualità della vita all’interno delle strutture detentive.

Il sovraffollamento italiano, dicono gli esperti, è il risultato di diversi fattori interconnessi. C’è, anzitutto, il ricorso frequente alla detenzione preventiva prolunga la permanenza in carcere di persone che non hanno ancora ricevuto una condanna definitiva. A ciò si aggiungono lunghi tempi processuali, sia civili sia penali, che contribuiscono ad aumentare il numero di detenuti in attesa di giudizio. Infine, il limitato utilizzo di misure alternative alla detenzione, come gli arresti domiciliari, la semilibertà e i programmi di messa alla prova, mantiene un numero elevato di persone nelle strutture detentive, aggravando ulteriormente la situazione.

Il sovraffollamento e le condizioni difficili delle carceri italiane hanno conseguenze anche sulla sicurezza degli operatori penitenziari e sulla gestione dei conflitti interni. La mancanza di spazi adeguati e di personale sufficiente continua a sfociare in situazioni di tensione tra detenuti. Tra l’altro con un accesso limitato ai servizi sanitari e psicologici, e con personale non sempre sufficiente per far fronte alle esigenze di una popolazione complessa e spesso fragile, le attività lavorative e formative, fondamentali per favorire il reinserimento sociale, sono disponibili solo in misura parziale e non uniforme. E questo è un problema perché secondo la CEPEJ (2022), tali condizioni possono ostacolare il percorso di reintegrazione dei detenuti. In Italia il tasso di recidiva è stimato intorno al cinquanta per cento entro tre anni dal rilascio, percentuale significativamente superiore alla media europea riportata da Eurostat nel 2023.

Dunque guardiamo in Europa. A livello europeo, la situazione italiana è piuttosto simile, a dire il vero, a molti dei paesi dell’UE. Nel 2023, erano 14 i Paesi dell’Unione Europea che disponevano di una certa capacità extra, ovvero di celle vuote; mentre 13 quelli che presentavano situazioni di sovraffollamento carcerario. I tassi di sovraffollamento più elevati nell’UE sono stati registrati a Cipro (226,2 detenuti per 100 posti disponibili), in Francia (122,9), e in Italia (119,1), seguite da Belgio (113,2) e Svezia (112,6). I tassi più bassi, invece, si sono osservati in Estonia (56,2), Lussemburgo (60,8) e Bulgaria (67,7). In Germania, dove la popolazione carceraria ammonta a circa settantasette detenuti per centomila abitanti (con un tasso di sovraffollamento inferiore al novanta per cento), le strutture offrono programmi estesi di formazione professionale, istruzione e supporto psicologico, contribuendo a ridurre la recidiva e facilitare il reinserimento sociale dei detenuti. Nei Paesi Bassi, il numero di detenuti per centomila abitanti si attesta intorno a settanta, con un ricorso diffuso a misure alternative alla detenzione, come la semilibertà e la messa alla prova, riducendo significativamente la pressione sulle strutture carcerarie. Anche la Svezia presenta un sovraffollamento inferiore al settanta per cento, con strutture moderne e programmi sociali estesi che favoriscono il reinserimento e la riduzione della recidiva.

Il confronto evidenzia dunque come il sistema carcerario italiano sia tra i più preoccupanti in termini di sovraffollamento e criticità infrastrutturali a discapito dell’attenzione alla riabilitazione, all’offerta di servizi sociali e sanitari completi, al ricorso a politiche preventive.

Il quadro che emerge dal confronto europeo mostra come la questione carceraria non sia soltanto un problema di spazi o di numeri, ma soprattutto di visione politica e sociale. In Italia, la detenzione continua a essere percepita prevalentemente come strumento punitivo, più che come occasione di rieducazione e reinserimento. Le esperienze di altri Paesi europei, invece, dimostrano che investire in misure alternative, nella formazione e nel sostegno psicologico dei detenuti non solo migliora le condizioni di vita all’interno delle strutture, ma riduce concretamente la recidiva e favorisce la sicurezza collettiva.

Riformare il sistema penitenziario italiano significa, dunque, superare una logica emergenziale e adottare un approccio integrato, capace di coniugare giustizia, dignità umana e reinserimento sociale. A questo proposito, l’annuncio del Workshop “Transition from Prison to Probation: Continuity of Care and Control”, organizzato da CEP e EuroPris per il dicembre 2025 a Barcellona, sottolinea quanto sia fondamentale promuovere una collaborazione strutturata e continua tra i sistemi penitenziari e di probation europei. La possibilità di condividere esperienze, modelli operativi e innovazioni tecnologiche rappresenta un valore aggiunto strategico per migliorare l’efficacia complessiva delle politiche penitenziarie. Per costruire un linguaggio comune europeo in materia di giustizia e reinserimento, fondato su solidarietà istituzionale, innovazione e rispetto della dignità umana. E per trasformare le carceri da luoghi di marginalità a spazi di seconda possibilità — con i loro muri che non separano dalla città, ma diventano ponti che riconciliano la città con chi ha sbagliato.

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Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

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