La conversione di un fondamentalista israeliano

Ho già citato spesso nei miei articoli la giornalista Cecilia Sala, sia per i suoi libri di inchiesta e approfondimento sui conflitti internazionali più attuali, come quello in Ucraina, sia per il suo interessantissimo podcast “Stories”.

Spesso decide di approfondire alcune notizie dal mondo che non ricevono particolare attenzione nel contesto mediatico nazionale. Altre volte unisce i suoi viaggi d’inchiesta a delle interviste che poi pubblica a puntate. È questo il caso che vorrei consigliarvi oggi: le puntate 849 e 850 dal titolo “Conversione di un fondamentalista”.

“Se chiedi a un palestinese della Cisgiordania quale sia la fazione che incarna al meglio l’ideologia violenta dei coloni” scrive Cecilia Sala nella didascalia dell’episodio, “ lui ti risponderà: i giovani delle colline che sono l’ala più estrema della destra suprematista in Israele. E anche se non sono tanti, sono in grado di fare danni enormi. Il gruppo impugna i fucili e sogna la teocrazia. Vorrebbe un Israele più grande e aggressivo, grande almeno dal fiume Giordano al Mediterraneo e si oppone a ogni compromesso su Gaza che deve diventare tutta ebraica.

Se chiedi invece a un israeliano quale sia l’episodio più disturbante di estremismo, di solito ti cita il matrimonio dell’odio. È il 2015, la tv israeliana trasmette il filmato di una festa di matrimonio dei giovani delle colline. Si vedono i partecipanti che ballano al ritmo di un canto ebraico che parla di vendetta: brandiscono le armi e danzando, accoltellano la fotografia di un bambino palestinese assassinato da ragazzi del loro ambiente pochi mesi prima.”

Il bambino si chiamava Ali Dawabsheh, quando è morto aveva 18 mesi. Un gruppo di giovani delle colline aveva lanciato bombe incendiarie dentro casa sua uccidendo nel sonno anche sua madre, di 27 anni e suo padre.

Cecilia Sala ha incontrato il giovane delle colline che dieci anni fa accoltellava il ritratto di Ali per fare festa. Si chiama Dov Morell e oggi è un avvocato che si batte per i diritti dei palestinesi.

È una testimonianza importante la sua perché solitamente i componenti di questi gruppi fondamentalisti non si fanno intervistare facilmente dai giornalisti internazionali, che detestano.

Dov Morell si è sempre interessato di politica e già da ragazzino, durante le feste o le riunioni di famiglia si isolava per leggere i testi sacri. Era un nerd, ma della religione. È nato in un contesto preciso: in un insediamento occupato della Cisgiordania durante la seconda Intifada, quando Hamas piazzava le bombe sugli autobus e dentro i ristoranti. Per capire il contesto in cui è cresciuto Dov bisogna partire dalla sua scuola religiosa, dove gli arabi venivano chiamati “asini” e il preside era stato ucciso in un attentato palestinese insieme alla sua famiglia.

L’aria che il giovane Dov respira è quella dei fondamentalisti, dove si maneggiano esplosivi per far saltare moschee sacre, sperando così da accelerare il disegno di Dio.

A tredici anni, con un solo zaino sulle spalle, Don si trasferisce in un piccolo accampamento illegale che la polizia minaccia di sgomberare. È una vita spartana, con poca acqua per lavarsi, poca elettricità. Una sorta di vacanza in campeggio con l’obbiettivo di rubare ai palestinesi un altro pezzetto di terra. Un gruppo di minorenni che si autogestiscono, portando avanti azioni intimidatorie verso gli abitanti palestinesi della zona, come bruciare le loro auto o gli alberi delle loro coltivazioni. Sono apertamente in conflitto con lo Stato di Israele, perché, dal loro punto di vista, “troppo democratico”.

Credono in una teocrazia in cui le sacre scritture valgono più delle leggi, quindi in uno Stato che va smantellato e ricreato.  

La trasformazione di Don comincia proprio con “Il matrimonio dell’odio”. L’effetto mediatico delle bombe incendiarie che hanno ucciso il piccolo Ali Dawabsheh e i suoi genitori, è diverso dal solito, molto più forte e indignato. A scuotere Israele, più di quello che è successo, sono le immagini del video in cui uomini in festa pugnalano la foto di una vittima e la bruciano.

La polizia si indurisce sotto all’ esplicita dichiarazione dello Stato: trattate i giovani delle colline come i palestinesi.

Quando Cecilia Sala chiede a Dov Morell se si sentisse più un estremista ultranazionalista o un fondamentalista religioso la sua risposta è netta e sicura: un fondamentalista religioso. “Ho gioito per la morte di quel bambino.” confessa Don, “Perché ero incapace di vedere i palestinesi come persone. Per me erano un’entità amorfa, nemica.”

La mano pesante dello Stato però funziona, alcune famiglie dei minorenni estremisti si spaventano e spediscono i figli all’estero ed è così che Dov finisce a Brooklin, si iscrive ai social, vede film che non ha mai potuto vedere prima, tra i quali uno che parla di una coppia lesbica in cui non può che empatizzare con le protagoniste.

Comincia a ragionare sui rigidissimi divieti imposti dal suo fondamentalismo, come il fatto di non poter neppure sfiorare una ragazza prima del matrimonio e si chiede come possa lui stesso, il cui divieto ha una scadenza, il matrimonio, chiedere a una persona gay di non avere rapporti per la sua intera esistenza. È la prima volta che il ragazzo comincia a percepire gli altri come individui che provano sofferenza, non come un gruppo o religione diversa dalla sua. Da questa consapevolezza il processo di deradicalizzazione non si arresta più.

Oggi Dov è un avvocato che lavora in una studio specializzato nei diritti umani, in particolare sulle detenzioni senza accuse dei palestinesi nelle carceri israeliane. È molto preoccupato dell’attuale ideologia radicale che il ministro Ben-Gvir esercita nel suo paese e dell’incremento, di nuovo, degli attacchi terroristici da parte dei ragazzi estremisti delle colline.  

Il fratello di Dov è morto a Gaza da soldato il giorno prima di compiere ventidue anni. “Tra il 7 ottobre e la guerra” continua Dov, “ho sei morti in famiglia e questo basta per sentirmi circondato dalla morte. Io che i palestinesi ora li vedo non posso non pensare a come sia ora per loro, “circondati dalla morte” trentatré volte più di me, facendo le proporzioni.”

Trovate l’intera intervista qui:

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