I droni russi, nei cieli della Polonia la notte tra il 9 e il 10 settembre, poi neutralizzati dai caccia europei e da un aereo radar italiano, hanno messo la NATO sotto i riflettori. Con il primo ministro polacco che invoca l’Articolo 4 dell’Alleanza, i venti di guerra tra i blocchi si fanno più forti? A cosa porteranno le consultazioni dei membri? E la NATO entrerà in guerra? Sul futuro dell’Alleanza era intervenuto Fabio Mini, ex comandante della KFOR in Kosovo e già a capo del comando NATO Sud Europa, con un breve libro che presenta una lucida analisi dell’Alleanza come garante di pace, mettendo in luce contraddizioni e derive.
Si intitola La NATO in guerra (Edizioni Dedalo) e inizia così: La guerra è una cosa seria. Una questione di vita o di morte per lo Stato (diceva Sunzi). Eppure l’espressione “NATO in guerra” suscita meraviglia e perfino scandalo. Gli stessi vertici dell’Alleanza si guardano bene dal pronunciare la parola “guerra” e la attribuiscono sempre a qualcun altro o a nessuno in particolare.
Dunque già l’incipit ci fa riflettere, alla luce di due questioni d’attualità: da un lato, la politica bellica dell’Alleanza Atlantica, tanto più nei mesi in cui Donald Trump, allora presidente degli Stati Uniti, ha più volte intimato agli alleati europei un aumento delle spese militari; dall’altro, la percezione — alimentata da fatti e decisioni concrete — di un’organizzazione al servizio prioritario degli interessi strategici di Washington, più che di una sicurezza realmente condivisa.
Per Mini, la NATO si è progressivamente trasformata da alleanza difensiva — quale era nelle intenzioni del Trattato del 1949 — in un attore politico-militare autonomo, capace di agire ben oltre il mandato originario. Non sempre, sostiene l’autore, le operazioni condotte hanno avuto il sostegno unanime degli stati membri o una piena copertura giuridica internazionale. Emblematici, in tal senso, gli interventi in Jugoslavia nel 1999 e in Libia nel 2011, operazioni che per Mini rappresentano un superamento della cornice legale stabilita dai fondatori. Il generale denuncia anche il funzionamento interno dell’Alleanza, caratterizzato da una burocrazia “autoreferenziale”: le decisioni strategiche vengono prese nei vertici ristretti, per poi essere sottoposte ai paesi membri solo per una ratifica formale. Il consenso, di fatto, si riduce a una “assenza di obiezioni” più che a un vero dibattito, svuotando di sostanza il processo democratico e impedendo un confronto politico trasparente.
Uno dei passaggi più “forti” del libro è la descrizione della guerra tipica del XXI secolo: un conflitto che non si combatte soltanto con armi convenzionali, ma che utilizza strumenti finanziari, tecnologici, cibernetici e comunicativi. Missioni, operazioni di pace, interventi umanitari: la terminologia scelta serve, secondo Mini, a non far percepire queste azioni come guerra vera e propria, pur mantenendone finalità e logiche. L’autore dedica pagine significative anche al “dopo”, alla fase post-bellica. Afghanistan, Iraq, Kosovo, Somalia: in tutti questi teatri, denuncia Mini, l’assenza di un piano di stabilizzazione ha prodotto vuoti di potere, instabilità e talvolta un peggioramento delle condizioni di vita rispetto al periodo precedente l’intervento. Sul piano geopolitico, la critica è netta: gli Stati Uniti mantengono un controllo operativo e strategico pressoché totale, mentre gli alleati europei, pur contribuendo in termini di truppe e risorse, restano subordinati e privi di autonomia decisionale. Per Mini, l’Europa dovrebbe dotarsi di una propria architettura di sicurezza, indipendente dalla leadership americana, capace di difendere gli interessi continentali senza doverli subordinare a quelli di Washington.
La NATO in guerra è dunque un testo che combina rigore analitico e tono critico, sostenuto dalla credibilità di chi la NATO l’ha vissuta dall’interno. Al di là delle opinioni personali, il libro obbliga a riflettere sul futuro della sicurezza internazionale, sul ruolo reale dell’Europa e sulla trasformazione di un’Alleanza che sembra sempre più orientata al conflitto fuori dai propri confini piuttosto che alla difesa di quelli interni.