Italiano: la mia lingua, il mio modo di pensare

A Zurigo, la pasta Barilla è esposta in molte vetrine di negozi gastronomici del Kries 4. Girando l’angolo c’è la Beckeria e La cucina: Tee und Gewürze. Altrove l’Apotheke Fontana e il Morgenstern da Mario. Da San Gallo a Ginevra, Basilea e Berna, è facile imbattersi in situazioni simili. La presenza dell’italiano, lingua ufficiale svizzera, è oggi visibile nel pullulare di ristoranti e della cucina italiana, testimoniata da simboli e segni nelle strade così come dalla contaminazione linguistica espressa nella ripresa di parole italiane nel discorso quotidiano o politico. Eppure, la lingua di Dante, portata agli svizzeri germanofoni e francofoni (specialmente con la migrazione dall’Italia a partire dal secondo dopo guerra), è stata a lungo bistrattata, associata – di fatto – agli ‘altri’, i migranti che la parlavano, e il percepito rischio di inforestimento che portavano con sé, come ci spiega Sandro Cattacin, Professore ordinario di sociologia dell’Università di Ginevra dove dirige l’Istituto di Ricerche Sociologiche. 

Ma andiamo per ordine. Nelle prime fasi della migrazione dall’Italia – spiega Cattacin nei suoi scritti – i migranti raggiungevano le regioni elvetiche oltre Gottardo spinti dalla ricerca di lavoro e pensando di rimanere poco tempo in questo paese. Questi migranti parlavano spesso, tra di loro, i dialetti delle regioni di origine. Riuniti in associazioni, organizzavano ad esempio festival di musica ed eventi per gli italiani, non pensati cioè per il resto della Svizzera. D’altra parte, va detto che questa tendenza dei migranti a fare gruppo a sé trovava eco nella società elvetica, dove si era radicato un discorso pubblico il quale slegava il concetto di migrazione da quello di presenza permanente delle comunità straniere. Basta pensare alle varie iniziative popolari xenofobe che si sono susseguite begli anni Settanta (la prima nel 1970 conosciuta con il nome della persona che la promosse, James Schwarzenbach, e poi le due successive nel 1974 e nel 1977).

La situazione cambiò a partire dagli anni ’80 quando in Svizzera la discussione sulla presenza straniera iniziò a cambiare tono e qualità, aprendosi alla convivenza tra le diversità linguistiche e culturali. La popolazione italiana, che, potremmo dire, si era chiusa nelle proprie case prese a uscire, lentamente. “La svolta avvenne, simbolicamente, con i festeggiamenti in Svizzera della vittoria dell’Italia al Mondiale del 1982” – precisa il professore di Ginevra – “Quello fu il momento che ha accelerato il riconoscimento del ruolo e dell’importanza sociale, economica e culturale degli immigrati italiani in Svizzera, come abbiamo scritto, io e la collega Irene Pellegrini, in un articolo ripercorrendo la copertura mediatica della vittoria calcistica dell’Italia nei media svizzeri francofoni e germanofoni”. 

A partire da quegli stessi anni, l’italiano “non solo si fa vedere ma entra e si radica nello spazio pubblico”, continua Cattacin. Non è più la lingua dei migranti dall’Italia. E anche gli svizzeri germanofoni e francofoni iniziano a imparare l’italiano – è una lingua che piace, spesso associata al made in Italy, alla moda di classe, al buon cibo e alla musica (ricordo che la musica italiana ha avuto una presenza significativa nel paesaggio sonoro svizzero negli ultimi 50 anni e tra i primi dieci artisti che hanno raggiunto il numero uno della Hitparade svizzera dal 1968 ci sono stati due artisti italiani, Eros Ramazzotti e Zucchero).

Oggi, dunque in Svizzera l’italianità non è un ostacolo, ma un’opportunità, una risorsa. E la lingua italiana tutelata. Nella Costituzione del 2000 l’art.18 garantisce ai cittadini il diritto di utilizzare le lingue di loro scelta, mentre il 5 novembre del 2007 è entrata in vigore la Legge federale sulle lingue nazional e la comprensione tra le comunità linguistiche (Legge sulle lingue), seguita il primo luglio del 2010 dall’Ordinanza sulle lingue nazionali e la comprensione tra le comunità linguistiche (Ordinanza sulle lingue). Non solo. Tra la gente, come rileva il rapporto sulla lingua italiana in Svizzera (2020-2021) commissionato dal Forum per l’Italiano in Svizzera, il 33.7% delle persone nel Paese indicano l’italiano come lingua secondaria. Si tratta grosso modo di 2 milioni di persone.

Questo – attenzione! – non vuol dire che il plurilinguismo elvetico sia raggiunto e la difesa della pluralità e della convivenza delle diverse culture che sono parte del Paese rimane una questione attuale. E’ quindi importante che gli italofoni in Svizzera continuino a rappresentare la propria cultura, la propria lingua e il proprio modo di pensare.

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Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

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