La Russia di Putin

“Questo libro parla di un argomento che non è molto in voga in Occidente: parla di Putin senza toni ammirati. Il motivo è semplice: diventato presidente, Putin, figlio del più nefasto tra i servizi segreti del paese, non ha saputo estirpare il tenente colonnello del KGB che vive in lui, e pertanto insiste nel voler raddrizzare i propri connazionali amanti della libertà. E la soffoca, ogni forma di libertà, come ha sempre fatto nel corso della sua precedente professione. Questo libro spiega inoltre come noi, che in Russia ci viviamo, non vogliamo che ciò accada. Non vogliamo essere granelli di sabbia, polvere sui calzari altolocati, ma pur sempre calzari di tenente colonnello, di Vladimir Putin. Vogliamo essere liberi. Lo pretendiamo. Perché amiamo la libertà tanto quanto voi.”

Così comincia il reportage giornalistico di Anna Politkovskaja “La Russia di Putin” pubblicato nel 2004, due anni prima che venisse assassinata a Mosca. Il mandante dell’omicidio non fu mai reso noto, per quanto risulti semplice formulare ipotesi che risalgono verso gli alti vertici. Macabra coincidenza: il 7 ottobre, giorno della sua morte è anche il giorno del compleanno di Vladimir Putin. Ai suoi funerali parteciparono più di mille persone, tra colleghi giornalisti, amici e sostenitori. Non comparve neppure un rappresentante del governo russo.

I suoi scritti ottennero premi e riconoscimenti importanti, come il Global Award for Human Rights Journalism (Amnesty International), il Courage in Journalism Award (International Women’s Media Foundation) e molti altri, ma ai tempi, nella nostra Italia berlusconiana, in cui ci eravamo abituati a vedere foto del nostro presidente del Consiglio a braccetto del suo stimato amico Putin, le inchieste di questa coraggiosa e determinata giornalista non fecero particolare clamore.

Raccontavano di fatti ignobili, avvenuti in particolare durante la guerra in Cecenia, ma per quanto denunciasse violazioni dei diritti umani perpetrate soprattutto sulla popolazione civile, continuavamo a percepirlo come un conflitto lontano, acceso da antiche tensioni sovietiche che non ci riguardava.

Il suo omicidio ha sicuramente acceso un faro sulla sua storia, ma mai come in questi ultimi mesi, le sue parole ci tornano necessarie e attuali per comprendere meglio ciò che sta avvenendo in Ucraina.

“La Russia di Putin” è un libro bellissimo e doloroso, perché la scrittura incalzante di Politkovskaja obbliga a proseguire nonostante la crudezza dei fatti raccontati, alternando lunghi capitoli di vicende giudiziarie e ascese politiche corrotte e spietate, a storie piccole, di singoli cittadini di un impero sterminato, dove anche nei luoghi più remoti, al confine con la Siberia, si subisce l’inevitabile influenza del potere oligarchico di Mosca.

L’autrice tratta ogni argomento con una profondità chirurgica, riportando testimonianze, atti giudiziari e perizie che permettono anche al lettore di avere un quadro esaustivo della situazione. Molto interessante a questo proposito il lungo processo sul caso del colonnello Budanov, accusato di aver stuprato e ucciso la giovane cecena El’za Kungaeva durante un’ispezione del tutto immotivata presso la casa dove la ragazza viveva con la sua famiglia. Questo fatto è solo uno dei tanti crimini di guerra su cui la giornalista ha indagato durante la seconda guerra in Cecenia e che secondo l’apparato giudiziario russo, che copre e protegge a prescindere le forze militari e il loro operato, sarebbe dovuto finire insabbiato, con l’ennesimo responsabile impunito e a piede libero. Ma una serie di piccole vicissitudini hanno fatto sì che questo non avvenisse, e la punizione esemplare ha acceso un bagliore di interesse da parte dei media internazionali sul grave problema che tutt’ora condiziona drasticamente il sistema giudiziario in Russia.

L’esercito russo è intoccabile, e non soltanto in riferimento all’operato, sempre giustificabile, che compie in guerra, ma anche internamente. Per i soldati semplici la vita in caserma è spesso un campo di concentramento, fatto di vessazioni e violenze da parte dei soldati di grado maggiore. Molti fatti raccontanti dall’autrice fanno accapponare la pelle, come il caso dei cinquantaquattro soldati del poligono di addestramento di Prudboj che all’alba del 9 settembre 2002 si misero in marcia per disertare in massa dopo una notte di violenze inaudite da parte dei loro superiori, ubriachi e annoiati. Non finì bene quella storia, come molte altre; il caso non arrivò in giudizio e nessuno degli ufficiali fu condannato. I soldati vennero distribuiti fra le diverse unità onde evitare ulteriori problemi.
Fa riflettere molto questa inchiesta sull’esercito, pensando a tutte quelle “pedine”, giovani soldati semplici, senza possibilità di scelta che sono state mandate oggi a combattere in Ucraina per ideali spesso poco chiari ai soldati stessi.

La violenza e la sopraffazione domina indisturbata in ogni ambito di potere in Russia, da quello politico a quello imprenditoriale per arrivare infine a quello giudiziario gestito da “sudditi” obbedienti e disposti ad assolvere o condannare, senza scrupoli verso la verità, a seconda della telefonata che ricevono.

I libri di Anna Politkovskaja sono primi in classifica in Italia da diverse settimane. Perché di fronte allo sconcerto che questa volta proviamo tutti verso l’ultima invasione militare di Vladimir Putin sentiamo la necessità di capire. Le parole della giornalista riaffiorano dopo vent’anni con tutta la loro inquietante attualità. Troppo tardi, come sempre, ma la consapevolezza rimane l’ultima arma di cui possiamo avvalerci per non restare ciechi di fronte agli ennesimi crimini di guerra cui stiamo assistendo.
In questa ottica, leggere oggi “La Russia di Putin” assume una valenza simbolica di resistenza e opposizione verso tutti i poteri oligarchici del mondo, dominati dalla propaganda che annebbia la realtà dei fatti.
Salviamo attraverso la lettura le poche voci che hanno avuto il coraggio di perdere la propria vita in nome della verità.

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