La speranza è una parola consumata, evocata spesso, ma sempre più fragile. Forse perché, più che desiderarla, oggi la temiamo. È ciò che sostiene Markus Krienke, professore ordinario di Etica sociale cristiana e Dottrina sociale della Chiesa, che abbiamo incontrato in occasione dell’inizio della VI edizione del Festival della Dottrina Sociale della Chiesa a Lugano, in Svizzera (che inizia giovedì 27 novembre).
Guardare alla speranza oggi, spiega il Professore, non significa rivolgersi a un sentimento vago, ma piuttosto a una forza concreta e necessaria alla vita sociale. Secondo Krienke, la nostra epoca vive un paradosso profondo: “Molti vorrebbero sperare, solo che hanno sviluppato, potremmo quasi dire, degli anticorpi. Sanno che la speranza può ingannare, sanno che la speranza non è certezza, vorrebbero garanzie. E quindi la speranza non costituisce una vera e propria alternativa, una forza, qualcosa di credibile”. In un mondo che chiede sicurezza immediata e risultati misurabili, sperare sembra quasi un lusso ingenuo. Si pensa che valga solo ciò che si può controllare. Ma Krienke invita a spostare lo sguardo: la speranza non vive nei proclami ideologici, nei discorsi ottimistici o nelle statistiche sociali.
La speranza, quando è vera, è radicata nella realtà vissuta. Non nei grandi numeri, ma nelle vite singole. Non nelle promesse delle istituzioni, ma nei gesti quotidiani che trasformano la vita delle persone. “Abbiamo tantissime esperienze individuali: una guarigione inaspettata, un progetto che finalmente si realizza, la vicinanza di qualcuno quando ci si sentiva condannati alla solitudine… In quei momenti la speranza diventa concreta.” Ciò che sembra piccolo, in realtà è decisivo: la speranza non cambia “la” storia, ma cambia storie. E il cambiamento autentico nasce proprio da ciò che è minimo, quasi invisibile. Per questo Krienke ricorda come Papa Francesco proponesse la speranza come un “campanello di risveglia” sociale, specialmente per l’Europa: una denuncia nei confronti di una società incapace di generare futuro, frenata dalla paura, dalla denatalità, da una gestione del presente che lascia poco spazio a ciò che ancora può nascere. Una società che non crea più, dice Krienke, “ha perso non solo le sue risorse economiche o demografiche, ma prima ancora la sua capacità di immaginare”.
Ma la speranza, per diventare reale, deve tornare a essere creativa: non un ripiego, ma una forza di invenzione. È la sfida delle grandi crisi, che ci schiacciano proprio perché ci sembrano più grandi delle nostre capacità. Da qui nasce la sensazione di precarietà costante, la crisi percepita come inevitabile. Secondo Krienke, invece, la risposta non sta nel negare i limiti, ma nel riconoscerli come la condizione stessa per agire. È ciò che mostrano le storie raccontate nel film presentato durante l’evento: tra queste, quella di un giovane bosniaco che, rientrato nel suo Paese, decide di ricostruire un villaggio. Un gesto minuscolo, quasi irrilevante se guardato con la logica dei numeri, ma capace di creare possibilità di vita dove sembrava impossibile trovarne. La speranza, dunque, non salva dall’esterno: genera spazi in cui qualcosa può ricominciare.
Connesso al tema della speranza, troviamo quello del valore della vita che si ritrova nei piccoli gesti. Ne parleranno, sabato 29 novembre alle ore 10.45 durante il Festival day a Lugano, Krienke e Filippo La Porta, saggista italiano e autore del libro “Elogio della vita ordinaria. Contro un’idea di falsa grandezza”. Trovare la speranza nella vita ordinaria è un atto controculturale: questo il messaggio. In una società dominata dal protagonismo delle star e dei follower, la quotidianità appare povera, anonima, poco realizzabile. Ma è proprio lì che gli antichi cercavano la felicità: nella cura delle relazioni, nella misura, nell’ozio creativo, in ciò che Aristotele chiamava virtù. La felicità non come successo, ma come armonia possibile tra i limiti e la bellezza dell’esistenza. Per questo, secondo Krienke, nella nostra epoca tecnologica e ipermediata stiamo perdendo la realtà stessa: senza limiti, ci illudiamo di poter essere tutto, e finiamo per non essere niente. Accettare i limiti non è rinunciare, ma riconciliarsi con la vita. Solo così nasce la speranza: non come utopia, ma come capacità di andare oltre senza fuggire. “La speranza non è la realizzazione di un’utopia,” conclude il professore , “ma la comprensione della realtà con tutte le sue difficoltà, senza perdere la consapevolezza che, nella misura in cui la affermiamo, sviluppiamo la capacità di andare oltre.” La speranza trascende, ma non scappa. Trascende affermando i limiti, non negandoli. Per questo può diventare relazione con gli altri e, per chi crede, relazione con Dio. Non una promessa astratta, ma una pratica concreta, ordinaria, possibile. Una speranza, finalmente, capace di cambiare la vita.
Il Festival della Dottrina Sociale nella Svizzera italiana, organizzato dalla Rete Laudato si’, è giunto ormai alla sua VI edizione. Giovedì 27 novembre a partire dalle 18.00 si terrà la cerimonia inaugurale presso il Cinema Lux di Massagno, con proiezione del film “Il ragazzo della Driina” e sabato 29 novembre, dalle 8.30 alle 16.00, il Festival day presso il Centro di Ecologia Integrale “Laudato si’” (c/o Azienda Agricola Sociale CatiBio) di Sant’Antonino. Sabato 29 novembre alle ore 10.45, durante il Festival day, organizzato dalla Rete Laudato si’, Markus Krienke dialogherà con Filippo La Porta intorno al suo recente libro “Elogio della vita ordinaria. Contro un’idea di falsa grandezza”. La partecipazione al Festival è aperta a tutti. Iscrizione obbligatoria all’indirizzo e-mail: info@retelaudatosi-si.ch.

