La spiaggia: un film di denuncia sociale

La spiaggia è uno dei film più importanti del cinema italiano, uscito nel 1954, girato dal regista Alberto Lattuada è anche qualcosa di più: un film di denuncia sociale, che rappresenta la congiunzione tra questione femminile, critica al bigottismo e servilismo piccolo-borghese.

Secondo il critico cinematografico Tatti Sanguineti, il soggetto fu basato su un fatto accaduto ad Alassio, nella provincia di Savona, dove quella che venne riconosciuta come prostituta avrebbe indignato i bagnanti e i vicini di cabina e ombrellone, portando così la gente del luogo ad evitarla come un’“appestata”. Almeno, questo secondo lo sceneggiatore Rodolfo Sonego, conosciuto per la fervida immaginazione. Non si saprà mai se ciò sia accaduto davvero, ciò che conta è la rappresentatività di quest’opera quando le commedie “rosa” avevano colonizzato i cinema, lasciando ben poco spazio alle tematiche sociali, figlie del Neorealismo e di certo cinema d’autore politicizzato, non molto apprezzato in ambito governativo per il “disfattismo” e il pessimismo che promanavano. Le devastazioni della Seconda guerra mondiale erano ancora una ferita aperta e le nuove generazioni non volevano più sentir parlare di militanze, ma solo di consumismo e benessere.

Estate 1953. Anna Maria Mentorsi (la procace e iconica attrice francese Martine Carol), decide di recarsi da Milano sulla Riviera ligure con la figlioletta Caterina per farle vedere per la prima volta il mare. Sul treno che la conduce alla costa, fa la conoscenza di Silvio (il notissimo Raf Vallone), il sindaco di Pontorno (località fittizia di Ponente), di sinistra, invaghitosi di lei la convince ad alloggiare nella sua cittadina. Mentorsi viene subito creduta una vedova perbene, venendo così accettata suo malgrado dapprima dalla buona società, dagli altri clienti dell’Hotel Palace e dai frequentatori dello stabilimento balneare (tra cui uno degli attori simbolo di questo decennio: Mario Carotenuto). A poco a poco, però, emerge la scomoda verità che all’inizio degli anni ‘50 costituisce un marchio d’infamia, nonostante i bordelli siano aperti e legali: Anna Maria Mentorsi è una prostituta, schedata, riconosciuta dalla polizia locale e da un suo “cliente” in vacanza come lei. Le prostitute, infatti, fino alla Legge Merlin furono delle “schedate”, avevano ben poca facoltà di movimento tra le città e dovevano essere monitorate a vista. Ben presto gira la voce, una madre con figlia che si prostituisce per vivere non può essere tollerata dai frequentatori di un albergo di lusso come quello né dalle invidiose mogli e madri dai costumi ingessati. Accade il voltafaccia più crudele e osceno di quel Grand Guignol che è l’umana società: le si fa il vuoto intorno e con lei anche alla figlioletta che, disperate, devono quasi scappare dal luogo. Il sindaco cerca di aiutarla, ma invano, non può abolire i pregiudizi.

Parallelamente alla vicenda si dipanano le insopportabili nevrosi sociali del ceto medio in vacanza, fatto di amori fatui, arrampicatori sociali e ipocriti un po’ ridicoli. Un personaggio secondario, Gughi (Valeria Moriconi) è costretta a sua volta a fuggire dal vecchio, misterioso e temuto miliardario Chiastrino, poiché per un assegno pagato a vuoto rischia la prigione: così fa l’autostop nottetempo, tra le luci soffuse della Riviera e scappa verso la Francia. Questa presenza per me è fondamentale nonostante non incroci quasi mai la storia di Anna Maria, poiché chi guarda il film ne intuisce la modernità romantica impressionante rispetto all’epoca e al film in cui si trova, insieme agli atteggiamenti, al linguaggio e al vestiario. La generazione di esistenzialisti del secondo dopoguerra rappresentò la futura contestazione giovanile in tutto il mondo occidentale, portando una prima vera critica dei valori della borghesia tradizionale. Le donne poi avevano una precisa caratterizzazione stereotipica in Italia per il grande pubblico che la corvina ribelle e tossicodipendente Gughi demolisce da cima a fondo. La sua fuga tutta al femminile comporta, secondo me, un possibile sottotesto lesbico che per quegli anni era impossibile da approfondire maggiormente. Da lì inizia un’altra storia di cui non ci è dato sapere, forse alla Thelma & Louise.

La fuga è il pilastro di questo film, una fuga femminile verso un altrove migliore che non c’è o tarda a comparire, che si trova spesso sotto le ali protettive proprio dei più potenti e dei più privilegiati: solo il miliardario può dire apertamente quello che pensa e permettersi di “fare del bene”. Quando le dame dell’alta società si lamentano col sindaco della presenza in albergo della donna e dell’influenza sui bambini, lui risponde: “Non abbiate paura… niente potrà impedire ai vostri bambini di diventare come voi”.

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