Intervista con Norma Bargetzi Horisberger, di Valeria Camia e Alessandro Vaccari
Il 22 settembre le svizzere e gli svizzeri hanno respinto l’iniziativa confederale per una maggiore protezione della biodiversità con il 63% di no. Questo voto si aggiunge all’opposizione del governo elvetico all’attuazione della sentenza della Corte europea dei diritti umani (CEDU) che nell’aprile scorso aveva accolto una denuncia delle Anziane per il clima sulle inadempienze delle autorità elvetiche rispetto al contrasto al riscaldamento climatico. È negazionismo ambientale?
Nonostante le drammatiche e tangibili conseguenze della crisi climatica le forze conservatrici riescono evidentemente, in Svizzera come altrove, a convincere la maggior parte delle popolazioni che un’efficace difesa dell’ambiente sia un lusso da rimandare a tempi migliori. Questo comporta una crisi di consenso per i movimenti ecologisti che sono perciò chiamati migliorare la definizione dei propri obiettivi in direzione di una maggiore giustizia climatica, in modo che i costi dei provvedimenti necessari e urgenti non ricadano principalmente sulle classi popolari e sui ceti medi. Si pone anche il problema di contrastare con forme di comunicazioni più efficaci la disinformazione interessata diffusa in materia ambientale dalle forze conservatrici. Nello specifico della situazione svizzera l’urgenza di interventi in materia ambientale è sottolineata dal fatto che nell’area geografica in cui il Paese si colloca il riscaldamento climatico è ancora più accentuato rispetto alla media mondiale. I ghiacciai si sciolgono e entro la fine del secolo sarà scomparso l’80% delle nevi perenni. Le alluvioni si susseguono, il territorio è instabile e il 7% della popolazione vive in aree a rischio di valanghe, smottamenti o cadute di massi. Senza andare troppo indietro nel tempo, a luglio l’esondazione del Rodano nel Vallese e la frana in Val Bavona nel Canton Ticino; pochi giorni prima, sempre nella Svizzera italiana, a franare erano state le rocce in Mesolcina.
«Eppure il governo della Confederazione elvetica nega di avere un problema con il clima e l’ambiente». Non fa tanti giri di parole, Norma Bargetzi Horisberger, membra di comitato dell’associazione Anziane per il clima. C’era anche lei, lo scorso 9 aprile a Strasburgo, ad accogliere con soddisfazione la sentenza della Grande Camera della Corte europea dei diritti umani (Cedu) che, seguendo la causa climatica inoltrata proprio dall’associazione Anziane per il clima, decretava come la Svizzera non agisca con la necessaria efficacia contro le conseguenze del riscaldamento globale. Dalla sua abitazione in Canton Ticino, è un altro sentimento quella che anima la signora: «Delusione. Tanta delusione. La protezione dai cambiamenti climatici, con la sentenza della Cedu, è diventata un diritto umano ma a Berna negano che si sia un problema, si rifiutano di seguire le indicazione della Corte» al punto, ad esempio, che il Consiglio federale e il Parlamento fanno addirittura dei passi indietro, arrivando addirittura a voler ridurre di 276 milioni di franchi (in tedesco) i fondi destinati a migliorare la qualità della biodiversità nelle aree esistenti.
Non solo. C’è anche la questione della mancanza di un “carbon budget”, un elemento che emerge chiaramente dal verdetto della Cedu: «un bilancio del CO2 – spiega Bargetzi – è essenziale nel contesto della lotta ai cambiamenti climatici e deve basarsi e interagire con il budget globale. Tuttavia fino a oggi, la richiesta di una traiettoria di riduzione del CO2 non ha trovato una risposta valida a livello governativo. Per di più, così facendo, la Svizzera disconosce l’obbligo di solidarietà, firmato dalla Confederazione attraverso vari accordi e convenzioni, secondo i quali la questione climatica riguarda diritti umani.»
Il 22 settembre il popolo svizzero ha scelto di non investire maggiori risorse nella biodiversità, anche se più di un terzo delle specie di piante e di animali e circa la metà degli ambienti naturali nel Paese sono minacciati. Un’occasione persa per preservare il patrimonio naturale, essenziale per la qualità di vita e l’economia della Svizzera: così si legge in un comunicato stampa del Partito verde liberale, mentre Aline Trede, presidente del gruppo parlamentare dei Verdi, alla televisone SRF ha dichiarato il proprio rammarico poiché «è un fatto scientifico incontestabile che la biodiversità in Svizzera si trovi in uno stato allarmante».
Eppure, come anche evidenziato dalla Cedu e ricordato da Norma Bargetzi, «il governo elvetico, nelle sue decisioni, si basa troppo poco su dei fatti scientifici, mentre a guidarlo è l’ideologia negazionista della questione climatica». E la popolazione non fa domande… «Non è facile “attivare” le persone. Ma non vuol dire che non bisogna provarci o che la situazione non possa cambiare. Penso a mostre dei rifiuti che lasciamo sulle nostre montagne; “gite” con guide capaci che portino i cittadini e le cittadine alla base dei ghiacciai: facciamo vedere loro dove erano le nevi perenni solo poche decina di anni fa e dove iniziano ora. Sono queste iniziative propedeutiche alla formazione di un’opinione pubblica informata e capace di fare domande, anche al nostro governo».