La via maestra dell’azione nonviolenta

“Si può parlare di pace solo quando nessuno vive in una condizione di mancanza di libertà, nel bisogno o in guerra”

Questa frase di Ueli Wildberger, scomparso lo scorso 23 gennaio, riassume nel modo migliore la concezione dell’azione nonviolenta che ha caratterizzato il suo intero percorso esistenziale,

 intesa soprattutto come pratica di lotta contro l’ingiustizia e la sopraffazione.

Ueli Wildberger nasce nei pressi di Sciaffusa nel 1945, poche settimane dopo la fine della guerra.  Sciaffusa, una città svizzera che si trova al confine con la Germania, aveva conosciuto direttamente gli orrori della guerra in quanto fu colpita per errore, il primo aprile del 1944, da un bombardamento aereo statunitense che causò la morte di 44 civili.

Dopo il ginnasio, Ueli si dedica agli studi di teologia e inizia la sua militanza, allacciando contatti con esponenti dell’opposizione democratica della Repubblica Democratica tedesca a cui fra l’altro riesce a far pervenire libri proibiti da quel regime.

La sua attiva militanza per la pace lo porta prima di tutto nel 1974 all’obiezione di coscienza al servizio militare e a battersi per l’istituzione del servizio civile in Svizzera, avvenuta solo nel 1996.   

Prende inoltre contatti prima con la sezione svizzera, di cui in seguito diventerà presidente, e poi con il coordinamento europeo dell’organizzazione Ifor- Mir che raggruppa vari gruppi di azione nonviolenta.

 https://ifor-mir.ch/de/

 Partecipa alle iniziative del Gsoa, un movimento che si batte per l’abolizione dell’esercito svizzero.

Nel 1982 è fra i fondatori delle Brigate internazionali di pace, un’organizzazione che offre protezione ai difensori dei diritti umani in zone particolarmente a rischio con cui compie diverse missioni; in quest’ambito svolge anche   un’opera di formazione e preparazione per i militanti impegnati in pratiche di azione non violenta

S’impegna inoltre, nelle lotte contro il nucleare civile e per la difesa dei diritti dei migranti e degli emarginati.

Ho avuto il piacere di conoscere personalmente Ueli già nei primi anni ’80 e ho seguito le sue molteplici attività in tutti questi anni.

Il 27 febbraio, in un’affollata chiesa evangelica di Witikon, il quartiere di Zurigo dove ha trascorso i suoi ultimi anni, si è svolta una cerimonia commemorativa nel corso della quale amici e collaboratori di tutta la sua vita hanno ricordato con commozione la figura e l’opera dello scomparso.

Ai convenuti alla cerimonia è stato fatto dono di un prezioso libretto con scritti dello stesso Wildberger che riassumono la sua visione della vita e costituiscono una testimonianza quanto mai attuale del suo costante impegno civile.

Ho pensato di tradurre il brano introduttivo di questa pubblicazione per la sua stringente attualità e come mio ricordo e omaggio personale

Il nostro mondo si dirige in modo apparentemente inarrestabile verso il caos.

Quattro flagelli minacciano oggi il nostro futuro e la nostra stessa sopravvivenza: cambiamento climatico, pandemia, guerre e forme di sfruttamento economico diffuse in tutto il mondo.

Questi mali sono frutto dell’azione umana e quindi gli stessi essere umani possono eliminarli dalla faccia della terra.

Di fronte alle crescenti catastrofi climatiche e alla minaccia della fame, molti si chiedono se riusciremo in questa impresa. Nessuno conosce la risposta.

Ogni essere umano è parta del Tutto e per questo corresponsabile di un cambiamento radicale.

Rassegnarsi e volgere lo sguardo da un’altra parte non è un’opzione possibile.

Ogni piccolo passo, per quanto insignificante, ha valore.

Già da studente mi ponevo spesso la domanda di come fosse possibile contrastare in modo efficace e costruttivo le varie forme di ingiustizia e di violenza.

Scoprire e condannare l’ingiustizia non è sufficiente. Ci vuole un’azione comune di molti per mutare le situazioni intollerabili e prima di tutto occorre essere guidati dalla visione di una società giusta.

In seguito alla mia obiezione di coscienza al servizio militare e sulla base del mio confronto con la figura di Gesù e con il messaggio biblico nonché con personaggi come Gandhi, Martin Luther King e tanti altri illustri testimoni storici, scoprii la via della resistenza e dell’azione nonviolenta.

Questa scelta mi convinse pienamente. Ero intuitivamente convinto che solo l’uso di buoni mezzi producesse buoni risultati, o per usare le parole di Gandhi, che solo buoni semi fanno nascere buoni frutti.

L’uso della violenza crea un crescendo   di   odio e violenza.

L’azione nonviolenta unisce gli aspetti positivi di due estremi: da una parte l’opposizione attiva propria della risposta violenta che non accetta   senza reagire violenza   e ingiustizia contro se stessi e contro gli altri, dall’altra la fedeltà a metodi pacifici propria della rinuncia a reagire per non esercitare nessuna forma di ingiustizia o di violenza contro altri.

La nonviolenza consiste nel saper distinguere fra l’essere umano e le sue azioni.

I comportamenti ingiusti devono essere condannati e all’occorrenza vanno contrastati attivamente. Verso l’essere umano invece bisogna praticare rispetto e tentare, attraverso l’azione non violenta, di fare appello alla sua coscienza.

Le azioni non violente da me praticate nel corso degli anni mi hanno continuamente mostrato la difficoltà a produrre cambiamenti radicali nei responsabili di ingiustizie sociali.

D’altra parte  ho fatto anche l’esperienza che piccoli e grandi passi avanti sono possibili e che  con humor e fantasia possiamo contribuire a una società più giusta e più pacifica.

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Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

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