Intervista di Valeria Camia e Alessandro Vaccari, con Tiziana Nadalutti
Tiziana Nadalutti, laureata in Agraria, ha collaborato a progetti europei di sostenibilità ambientale e di tutela della natura. Attualmente lavora come tecnologa negli stessi ambiti presso l’Università di Pisa. È impegnata in associazioni ambientaliste e partecipa a livello pisano all’esperienza politica della lista civica della Città in comune.
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Le città possono adottare delle soluzioni per ridurre l’impatto sugli eventi climatici estremi come alluvioni o ondate di calore che le colpiscono in modo particolare? Quali potrebbero essere questi provvedimenti?
Innanzitutto quando si parla di cambiamento climatico si parla sempre di fenomeni che hanno un impatto territoriale molto vasto, quindi prima di tutto la cosa che va tenuta presente è che sostanzialmente gli interventi devono essere interventi integrati.
Le città ovviamente hanno alcune cose che possono fare: i provvedimenti che si possono prendere sono innanzitutto evitare di costruire strade, evitare di costruire edifici. Poi ce n’è anche tanti altri, per esempio scegliere una mobilità urbana pubblica e dolce, quindi a piedi in bicicletta, al posto della mobilità privata.
C’è inoltre da scegliere in che modo gestire gli edifici e i consumi energetici negli edifici, l’investimento su aree verdi e la possibilità, laddove ci siano aree abbandonate, di recuperare nuovamente il suolo. Una cosa che noi siamo abituati a pensare è che il suolo è una cosa inerte, che sta lì e che non fa niente. Invece il suolo è un grandissimo serbatoio di biodiversità ed è una grandissima spugna, diciamo così, sia rispetto agli inquinanti sia rispetto all’acqua e quindi avere il suolo libero è importante per assorbire le piogge. Naturalmente questo è l’esatto contrario di quello che succede con le strade e con la cementificazione. Rilanciare la biodiversità significa anche rilanciare tutte quelle catene alimentari che sono in grado di rispondere in maniera resiliente ai cambiamenti climatici. Le bombe d’acqua arrivano magari anche in zone dove non c’è nemmeno un centimetro quadrato di cemento, ma il sistema biologico può essere in grado di reagire in modo migliore o peggiore a seconda del suo grado di biodiversità.
Rilanciare la biodiversità significa anche rilanciare
tutte quelle catene alimentari che sono in grado di rispondere
in maniera resiliente ai cambiamenti climatici.
Quali sono le sfide maggiori e come poter integrare l’azione locale appunto con piani nazionali di adattamento ai cambiamenti climatici e poi anche alla luce di un contesto internazionale, perché le catastrofi e le alluvioni colpiscono le nazioni e non guardano ai confini?
La prima cosa che vorrei dire è una cosa cattiva nei confronti dell’Unione Europea, nel senso che l’Unione Europea da un lato costruisce regolamenti e direttive che tutelano la natura, che tutelano la biodiversità, che poi tutelano lo sviluppo di pratiche agricole sostenibili. Dall’altro lato però invece incoraggia una politica che va nel senso diametralmente opposto e questo è un grandissimo problema perché tutti possono dire di agire in conformità alle direttive europee anche quando tradiscono lo spirito di tante direttive europee. Che cosa vuol dire veramente? Poi abbiamo i piani energetici nazionali, i piani di risposta al cambiamento climatico, ne abbiamo milioni di queste cose…però poi tantissimi sono strumenti volontari. Allora mentre il taglio della spesa è obbligatorio, l’adesione a quegli strumenti che è volontario ovviamente passa in secondo piano. Quindi cosa vuol dire avere quegli strumenti? Per me vuol dire poco.
Esistono degli esempi di città che si stanno muovendo nella giusta direzione che magari potremmo additare a esempi un po’ da seguire?
Esistono degli esempi, purtroppo sono anche quasi tutti concentrati, se guardiamo l’Italia, nel centro nord e magari in zone come l’Emilia Romagna, dove per esempio c’è un’app per gestire la mobilità integrata per far sì che la gente possa viaggiare in sicurezza e in maniera talmente coordinata da avere anche tempi brevi su città intere, come nel caso di Modena. Un altro esperimento molto bello che è stato portato avanti è quello del Contratto di fiume e qui mi rifaccio a quello che dicevo prima cioè alll’integrazione tra politiche urbane e aree invece non urbane, perché con i contratti di fiume si mettono insieme tutti gli attori che vivono intorno a un fiume che quindi possono essere attori istituzionali, ma possono essere anche imprese, o associazioni di cittadine e di cittadini siccome tutta la comunità in qualche modo vive delle ricchezze che dà un fiume e quindi ne approfitta, ma anche subisce dei rischi. C’e un’altra bella esperienza che è quella del lago di Massaciuccoli, che si trova tra Viareggio, Pisa, Lucca all’interno del parco di San Rossore e che ha anche subito dei fenomeni alluvionali importanti: in questo caso la comunità si è messa insieme a discutere di come gestire questo lago che ha grandissimi problemi sia dal punto di vista della biodiversità (perché ci sono delle specie aliene che stanno mettendo molto a rischio gli ecosistemi del lago) sia dal punto di vista delle coltivazioni in quanto molte parti delle zone intorno al lago sono state bonificate nel passato per ottenere terreni fertili e produrre. Oggi si decide di ri-allagare alcune di queste zone e di aumentare questo bacino in maniera tale che il rischio alluvioni diminuisca.
Cosa ne pensa di un altro fenomeno che si sta sviluppando in diversi paesi a che fare con le fattorie e gli orti urbani?
Secondo me hanno veramente un grande ruolo anche dal punto di vista culturale perché le persone che lavorano negli orti si parlano e avviene un confronto fra individui anche di generazioni diverse.. Ovviamente c’è un problema di contaminazione dell’aria, dell’ acqua che va tenuto presente, quindi occorre procedere in maniera ragionata ma è un potenziale reale, secondo me, sia per creare partecipazione e cultura sia proprio per produrre cibo in maniera agroecologica.