L’eterno studente del Michigan e il valore del non sapere

Benjamin Bolger, quarantotto anni, del Michigan, ha frequentato, tra le altre università, Harvard, Stanford, Yale, Columbia, Oxford e Cambridge. Ha praticamente passato tutta la sua vita a studiare. Ha 14 lauree avanzate nelle materie più disparate. Non c’è un filo conduttore tra le varie discipline. Alla domanda: “Ma perché?” La sua risposta è sempre la stessa: “Mi piace imparare”.

Questa sua costante ricerca di un riconoscimento, all’interno di un sistema che sembra permeato di sfiducia per la scarsa attenzione da parte delle istituzioni, ha molto a che fare con la sua infanzia.

Nel 1978 Benjamin ha due anni e la macchina in cui si trova con i suoi genitori viene colpita da un ubriaco. Lui non si fa praticamente nulla, mentre sua madre, Loretta, uscirà dall’ospedale alcuni mesi dopo con una placca in una gamba che la costringerà a lasciare il suo lavoro da insegnante.

L’incidente ha delle conseguenze molto gravi sul matrimonio dei genitori, i due si separano e Benjamin rimane a vivere con la madre nella fatiscente e fredda fattoria del nonno.

Il ragazzino è dislessico, in terza elementare non ha ancora imparato a leggere e gli insegnanti non hanno alcuna stima di lui. Una maestra dirà alla madre: “Lasci perdere, questo ragazzo non si diplomerà mai.”

Loretta decide allora di assumersi tutta la responsabilità di una missione che le permetta di riscattarsi da una vita che sembra aver preso una piega nefasta. Organizza per suo figlio una vera e propria scuola complementare a casa e decide di superare il grande trauma famigliare legato all’auto macinando chilometri su chilometri su e giù per gli Stati Uniti, per visitare centinaia di mostre e musei. Da quella preziosissima educazione itinerante e molto varia Benjamin ha acquisito un metodo che lo porterà poi a diventare il secondo uomo con più lauree della Storia.

Il primo è un ottantenne, anche lui del Michigan, Michael Nikolson, che di lauree ne ha 30. Benjamin è certo di poterlo superare, del resto lui “ha solo 48 anni”.

Molti si sono chiesti come faccia “L’eterno studente” a pagarsi tutte le facoltose università che frequenta. Bolger ha aperto una società che prepara gli studenti per le ammissioni al college, del resto chi meglio di lui potrebbe farlo e sembra che l’attività frutti parecchio. Prepara 25 studenti per volta, ma lui sostiene che la sua studentessa più promettente rimane sua figlia Benjamina, di nove anni, che porta in giro per il paese a qualunque mostra o evento culturale, proprio come sua madre faceva con lui.

Questa storia mi ha colpito perché contiene al suo interno più spunti di riflessione. Innanzi tutto c’è il tema dell’emancipazione da un destino che sembrava segnato già alle elementari, per un ragazzino con difficoltà di dislessia, che invece di venire supportato e incoraggiato, viene etichettato come il perdente, colui che non ha gli attributi per poter emergere nel “Sistema di talenti” che piace tanto al nostro ministro dell’istruzione. Benjamin ha avuto la fortuna di avere al suo fianco una madre in grado di compensare tutte le lacune del sistema scolastico con un’intelligenza e una determinazione rare. Non tutti i genitori possono permettersi di caricarsi di una tale responsabilità e molti non dispongono neanche degli strumenti per comprenderlo, affidando i propri figli al giudizio e alla rinuncia da parte di un sistema standardizzato e impreparato a gestire unicità e complessità.

Il secondo aspetto estremamente ispirante di questa storia è il fatto di porre al centro dell’esistenza il concetto dell’imparare, come elemento a sé stante, permanente e in continua crescita. Siamo abituati a intendere il nostro percorso di formazione come una fase, che per quanto importante, ha un inizio e una fine, a parte qualche rara eccezione di aggiornamenti o brevi specializzazioni. Per Benjamin Bolger invece apprendere non è mai stato un periodo, finalizzato all’ottenimento di un risultato per un obiettivo lavorativo. Apprendere è il suo lavoro, la sua chiave per comprendere e abitare la sua stessa esistenza.

Non credo che tutti noi siamo predisposti e strutturati per una vita di solo apprendimento come la sua, ma penso anche che storie come quella di Bolger aiutino a rimettere al centro il valore dell’apprendimento come strumento di continua crescita, miglioramento e consapevolezza umana. Persone sempre disposte ad imparare qualcosa di nuovo sono individui più flessibili, in grado di ampliare le proprie prospettive, aggiornati sulla realtà che evolve costantemente intorno a loro e più consapevoli nel prendere decisioni e interpretare fatti e parole.

L’apprendimento è una risorsa di per sé, che troppo spesso viene sminuita come semplice strumento per raggiungere altri obiettivi, prevalentemente di status lavorativo e sociale, mentre la sua forza più profonda sta nella sua potenziale inesauribilità.

Concludo citando una famosa frase di Albert Einstein, che sintetizza bene tutte le ragioni e le risposte che Benjamin Bolger ha dato negli anni per spiegare questo sua continua ricerca di sapere: “Una volta che si smette di imparare, si inizia a morire”

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