Lista delle S-malattie consigliate #50: Il nome

Buongiorno come stai? Come dicevamo settimana scorsa, oggi, voglio concentrarmi sul modo in cui chiamiamo o etichettiamo, situazioni, persone ed emozioni.

Pensiamo alla vita di tutti i giorni. Ti è mai capitato di affrontare una circostanza “difficile”? Con quale stato d’animo l’hai vissuta? Ti sentivi tranquillo o stressato? Ma soprattutto, se anziché “difficile”, l’avessi definita “impegnativa” o “interessante”, il tuo approccio sarebbe rimasto lo stesso? Oppure, ti ricordi quando hai cercato di spiegare a quello “st….o” il tuo punto di vista? Come ti sentivi? Ti sei espresso con la stessa dolcezza e pazienza, con cui vorresti che le persone, si rivolgessero a te o eri un po’ stizzito? Cosa sarebbe cambiato se avessi pensato, che era un soggetto “particolare”?

Ci tengo a fare una premessa molto importante.

I “nomi” che diamo, a persone, situazioni ed emozioni, dipendono dalle storie che ci raccontiamo nella nostra testa.

Ad esempio, lo “st…..o” di prima, mi auguro che lo sia diventato, dopo una vicenda, in cui c’è stata un’incomprensione o un attrito. Oppure si guadagnato quell’appellativo al primo colpo d’occhio? Può succedere.

È capitato a tutti, almeno una volta nella vita, di farsi condizionare da un preconcetto. Come ti sarà anche capitato di smentirti piacevolmente (o sgradevolmente), una volta approfondita la conoscenza con quella determinata persona o situazione.

Prova solo a pensare a quando da piccolo eri al buio, da solo, nella tua cameretta. Se la tua testolina ti diceva che nell’oscurità c’erano nascosti i mostri cattivi, probabilmente avrai provato un po’ di paura. Mentre oggi, nello stesso contesto, la tua testa probabilmente ti dice “finalmente, un po’ di silenzio e di pace dopo una lunga giornata di lavoro.”  Provi ancora timore a questo pensiero? Penso proprio di no. Stessa identica condizione, due emozioni completamente differenti. Questo significa che il modo in cui chiami o definisci una cosa non descrive quest’ultima, ma il modo in cui tu la vedi, o il rapporto che hai con essa.

Ad esempio, io ho un amico che è istruttore di paracadutismo. Lui definisce questo sport “divertente ed eccitante”.  Mentre io che non l’ho mai fatto, lo percepisco principalmente come “pericoloso”. Va da sé, che se non cambierò mai il mio punto di vista e quindi, il modo in cui lo chiamo, non farò mai un esperienza simile. È chiaro che questo argomento condiziona in maniera molto marginale la qualità della mia vita, anche perché non fa parte dei miei sogni.

Ma se lo fosse stato? È vero che un salto nel vuoto, a metri e metri da terra, legata a un paracadute, può generare un leggero stato di… Terrore assoluto! Ciò che non ci hanno insegnato però, è che quella paura può essere usata come punto di forza per agire. Anziché solo per immobilizzarci o scappare a gambe levate. Anche questa volta, tutto sta nella storia che la nostra testa ci racconta dalle immagini che evoca. Allora come uscire da quei racconti, travestiti da “amici”, che in realtà, ci spingono da una parte all’altra, senza mai farci sentire realmente padroni del nostro destino?

Cambiando il racconto.

Un autore che apprezzo molto è riuscito con due “formule magiche” a farmi capire distintamente la differenza tra coraggio e paura. 

La paura non è che un esercizio di fantasia. Il coraggio non è che uno sforzo di immaginazione. (Simone Tempia – Storie per genitori appena nati)

Infondo, se non appena si apre il portellone dell’aereo la mia testa si immagina:

Il mio corpo, lanciato come un proiettile, nel vuoto, che si spiaccica come un uovo, a terra…”

Chi mi impedisce d’immaginare:

“Che quell’aria che mi sferza sul viso, sia quella che sento quando faccio una ripida discesa in bicicletta?”

OK OK CALMA

Già ti sento protestare a perdifiato nel dirmi “ah già sicuro, come no, ora mi immagino anche che arriva un cavallo alato, che gentilmente mi fa salire in groppa e mi riporta a terra sano e salvo”. Beh perché no? Infondo, l’obiettivo era non farsi vincolare dalla paura. Se per te il racconto funziona, va bene 😉 “Sì Ilaria, ma questo non risolve il problema” Certo, verissimo, assolutamente d’accordo. Ma perché il “problema” non è dove tu pensi che sia.

Non sta nei metri e metri che ti dividono dal terreno, ma in come TU o meglio, IL TUO CERVELLO LI VEDE.

Ecco perché il celebre autore parla di “sforzo di immaginazione”.

Ma non è tutto, hai ragione.

Per far si che questo funzioni. È necessario anche fare appello a un’altra s-malattia. “La promessa” Ma ovviamente di questo, ne parleremo la prossima settimana. Come dico sempre

A volte basta solo un primo passo per cambiare il mondo, ma per rivoluzionarlo davvero, non può restare da solo.

Il primo è stato fatto, ora tocca a te compiere il secondo.

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Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

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