L’Italia vista da fuori

L’Italia non è certamente il fulcro dell’interesse mediatico internazionale, tra guerre ai confini europei, deliri di onnipotenza di improbabili magnati che comprano “nuovi giocattoli” e poi li rompono prima di imparare ad usarli e competizioni calcistiche dai risvolti politico-sociali sempre più inquietanti. Per non parlare della imminente crisi energetica che ci attende al varco e alle numerose rivolte popolari, tra le quali in primis in Iran, che stanno soffocando nel sangue.

Ci sono state però brevi parentesi in cui l’Italia ha canalizzato l’attenzione europea e internazionale in seguito a eventi specifici, come l’elezione di Giorgia Meloni come Presidente del Consiglio. I titoli dei giornali stranieri si sono rivelati più lucidi e impietosi di quelli nazionali, mostrando, a parte rari casi di appoggio politico dichiarato, una diffidenza dilagante per il nuovo Governo di estrema destra.

Ho voluto provare per gioco a proporre ai miei studenti adulti, dei corsi d’ italiano in cui insegno, di scrivermi tre cose positive che vedono dell’Italia e tre cose negative. Mi interessava capire cosa emerge maggiormente da fuori, tra bellezze e problematiche sociali, attraverso lo sguardo di persone che, per motivi diversi, si sono avvicinati al nostro Paese attraverso la lingua e la cultura italiana.

Il risultato della mia piccola indagine è stato per l’80% scontato, con alcune chicche interessanti che mi hanno fatto molto riflettere.

Tra le cose positive più citate del nostro Bel Paese non poteva che comparire l’eccellenza della cucina italiana. Non per niente è stato aggiunto il termine “Sovranità alimentare” al nuovo Ministero dell’agricoltura. Siamo tutti ben consapevoli di questo primato, che ci fa sorridere orgogliosi ogni volta che vediamo la faccia estasiata di un turista straniero addentare una fetta di pizza napoletana o una forchettata di spaghetti al dente con il sugo propriamente amalgamato e non gettato sul cucuzzolo di una montagna di pasta scotta e scondita.

Anche l’arte, intesa in senso lato come tutto ciò che si può incontrare casualmente o visitare in qualunque città italiana, è tra gli aspetti positivi più citati. Dalle architetture antiche ai siti archeologici, passando per musei e chiese, il nostro patrimonio artistico e culturale resta tra le buoni ragioni per considerare il nostro territorio un luogo idilliaco, premiato dalla Storia.

Infine il clima e la varietà paesaggistica completano il quadro di un luogo dove chiunque sceglierebbe di vivere… se non possiedi un’auto, non necessiti di una vita lavorativa e non hai beni da amministrare.

Tra i maggiori problemi che qualunque straniero vede o conosce per stereotipi ormai radicati, abbiamo la gestione del traffico, il grande spauracchio dello sventurato turista che si azzarda a varcare il confine con un mezzo di trasporto privato. La vasta gamma di esperienze al riguardo spazia dall’anarchia autostradale, raccontatami da uno studente ancora provato dal trauma, all’aggressività degli incroci cittadini, dove il clacson assume una funzione determinante di presenza e “sollecitamento alla rapidità”.

La Mafia domina l’immaginario collettivo dei miei studenti come una presenza rarefatta e molto inquietante, che non saprebbero spiegare, con esempi pratici, dove e come tocca il singolo cittadino, ma sanno che può uccidere ancora, chiunque abbia a che fare direttamente o indirettamente con Lei. Così come la corruzione e la mala gestione pubblica, trapelate da racconti infausti di amici italiani, rimbalzati da un ufficio all’altro per un semplice cambio di residenza o un documento da rinnovare.

Insomma il paese più bello del mondo, se non ci vivi. Niente di nuovo, dunque, se non per alcune risposte che mi hanno commosso e intristito allo stesso tempo.

Diversi studenti hanno citato, tra le cose belle del nostro Paese, la gioia di vivere, la leggerezza degli animi, l’approccio alla vita rilassato, la capacità di lasciare andare, senza cercare sempre la perfezione.

Dunque, se togliamo il contorno artistico e naturale, resta qualcosa di più profondo nell’immaginario straniero, che ha a che fare con le persone e non con i luoghi: un temperamento rilassato, che sa sfidare la frenesia della vita quotidiana e la diligenza ad ogni costo. Una spinta vitale alla gioia che sa trovare soluzioni bizzarre nella sventura, come inventarsi l’idea di cantare e suonare insieme dai balconi durante il lockdown che ha coinvolto l’intero pianeta.

Eppure io, da italiana, questa “arte della gioia”, come direbbe Goliarda Sapienza, non la vedo più nell’Italia che ritrovo ogni volta che torno a casa. È sopita nei miei amici, nei famigliari sempre più disillusi e frustrati, nei giovani ancora traumatizzati da quasi due anni di didattica a distanza, senza nessun tipo di supporto psicologico.

Non la vedo più questa voglia di cantare sempre e comunque. Percepisco piuttosto un popolo profondamente deluso e arrabbiato, che non perde occasione per polemizzare e aprire conflitti, che vuole proteggere quel po’ che gli rimane a costo di spingere fuori chi non è considerato meritevole di aiuto. Vedo un popolo diffidente e scontroso, dalla cassiera del supermercato al cameriere del ristorante.

Ma è confortante sapere che c’è ancora chi lo vede, questo congenito spirito plateale e vanitoso, che ha voglia di mostrarsi al meglio, con orgoglio e anche un pizzico di arroganza. Nella speranza che possa tornare davvero, anche nell’intimo delle mura domestiche, tra l’ennesima notizia infausta del telegiornale e l’ultimo commento razzista sui social, la voglia di dire –“Ma sì, rilassati, che la vita è bella!”

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Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

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