Mafia e Svizzera: a Lugano non si chiudono gli occhi

di Emma Gabriele

«Il fenomeno mafioso non è comune. Non è il brigatismo, non è la solita criminalità, perché il brigatismo e la criminalità lo Stato li combatte, e bene. È qualcosa di ben diverso: è la criminalità, più l’intelligenza, più l’omertà

Così Tommaso Buscetta, inizialmente uomo di mafia e poi collaboratore di giustizia, al Tribunale di Palermo nel 1986. A sottolineare quanto la Mafia non fosse solo delinquenza associata ma vera e propria costruzione culturale che fonda un’organizzazione. 

In Italia, il termine criminalità organizzata indica i sodalizi criminali più strutturati, quali la Mafia, la Camorra, la ’Ndrangheta e la Sacra Corona Unita. Sono realtà autonome rispetto alle altre tipologie di delinquenza. Veri e propri contropoteri criminali concorrenziali al sistema legale che impongono la propria volontà con mezzi illegali al fine di soddisfare interessi privati. Corpi sociali dominati da omertà, sostenuti da legami familiari e sorretti da riti che ogni “appartenente o affiliato” è tenuto a rispettare: un vero e proprio sistema dai riconoscibili connotati economici.

Offrire delle mafie un’immagine generica, folklorica e di maniera è gravemente falsante per il dibattito pubblico. A stimolare una discussione sul tema in Italia era stata nel 1961 l’opera di un intellettuale d’eccezione: Il giorno della civetta di Leonardo Sciascia. Per la prima volta la mafia veniva messa al centro di un’opera narrativa destinata ad un vasto pubblico: il successo favorì l’attenzione e il dibattito su un fenomeno criminale che il potere politico tendeva ad ignorare.  

Oggi in Svizzera come allora in Italia, si rende necessario superare il grave silenzio su un tema che non sembra impensierire le istituzioni e i governi, nonostante non manchino interventi pubblici, convegni e sollecitazioni di magistrati e di singoli esponenti della politica.

Proprio nell’ottica di una necessaria presa di coscienza, l’Osservatore Democratico (OD) e l’Osservatorio ticinese sulla criminalità organizzata dell’Università della Svizzera Italiana (O-TiCO ) hanno organizzato, giovedì 22 settembre, presso la Biblioteca salita dei Frati di Lugano, una tavola rotonda sul tema della lotta alle mafie. Gli interventi dell’Avv. Rosa Maria Cappa (già procuratrice federale), di Sergio Mastroianni (procuratore federale), di Marco Romano (consigliere nazionale) e di Francesco Lepori (giornalista RSI, responsabile operativo dell’O-TiCO) moderati da Stefano Stillitano, avvocato e collaboratore dell’O-TiCO, hanno evidenziato quanto le crescenti infiltrazioni malavitose siano operanti in Svizzera e quanto ciò comporti conseguenze nefaste sulla società e sull’economia.

È con forza emersa dalle disamine dei relatori, una sottovalutazione del fenomeno mafioso da parte sia della popolazione svizzera che delle sue istituzioni, (come ammesso nel 2021 dal Consiglio federale ad un’interpellanza proprio del Consigliere nazionale Marco Romano). 

La scarsa percezione, l’insufficiente conoscenza degli obiettivi «mafiosi» e i difetti del lavoro di analisi giornalistica, reso ostico dalle criticità delle informazioni, sono punti messi in evidenza dal giornalista Francesco Lepori della RSI. In effetti le più importanti inchieste giudiziarie che hanno portato alla scoperta di attività di riciclaggio o di reimpiego di capitali illeciti nascono accidentalmente o quasi sempre ispirate da gravi fatti di sangue. Inevitabilmente il patrimonio informativo in questo settore è limitato ai dati emersi nella singola indagine, tali da non offrire da soli  sostegno ad un quadro giornalistico più ampio.

La lacunosa sensibilità degli uffici preposti all’entrata dei capitali, le carenti competenze specifiche interpretative del fenomeno e la volontà dello Stato svizzero di non percepirsi come uno «Stato ficcanaso» sono solo alcuni dei punti su cui pone visibilità anche mediatica da anni il Consigliere nazionale Marco Romano.

Infine, ma vero nocciolo della discussione, resta la mancanza di una legislazione rigorosa per la confisca dei patrimoni del crimine organizzato, così come a più riprese sottolineato sia dall’Avv. Rosa Maria Cappa sia dal Procuratore federale Sergio Mastroianni, che rende oggi più che mai la Svizzera un territorio vulnerabile e colonizzabile. Inoltre in mancanza di un «programma» di mappatura degli insediamenti delle mafie nel mondo, o di un organo che coordini e archivi in modo organico le inchieste che riconducono ad attività mafiose all’estero, il contagio pare essere sempre più pericoloso. 

Per invertire la rotta vi è l’urgenza quindi di capire e accettare che da patologia il fenomeno illecito sembra sia indirizzato a diventare fisiologia del sistema e che il rapporto fra criminalità (mafie in primo luogo) e sistema economico non è più occasionale ma sistemico.

Da qui, la necessità di muoversi sul versante educativo attraverso la scuola e sin dalla tenera età per dotare la società svizzera di strumenti contro un fenomeno che ha visto fino ad oggi un contrasto fiacco e tardivo, tale da permettere alle mafie di passare allo stadio successivo di sviluppo quando lo Stato non si raccapezzava ancora su quello precedente. 

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Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

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