Mettere i puntini sulle i: vademecum per l’uso corretto dell’italiano

Estate. Tempo di tormentoni. Ci sono quelli musicali. Ogni paese ha il suo, anche se sempre più spesso, abbiamo tutti lo stesso… Ci sono i tormentoni nel senso di preoccupazioni e quest’anno il clima e l’ambiente sono capifila. E poi ci sono “i rovelli” di natura linguistica, perché no! Come Ferragosto: arriva puntuale ogni anno a metà agosto. Che significato ha quest’espressione? Ciclicamente qualcuno ce lo domanda. Regolarmente non manca la domanda: ferragosto, ma non è che c’entra il ferro, ferro-agosto? 

Un librino agevole (per dimensioni e chiarezza espositiva), a tratti ironico ma al tempo stesso serio per la tematica di cui si occupa, ci viene in aiuto. Mi riferisco a “Parole sotto la lente” pubblicato da  Salvioni Edizioni e scritto da Gerry Mottis, docente di lingua italiana e comunicazione. Il lavoro di Mottis raccoglie una serie di questioni legate all’uso e abuso della lingua italiana, strafalcioni piuttosto comuni al punto da passare inosservati, espressioni usate impropriamente e, per di più, spesso anche inconsciamente; accenti, apostrofi, “le doppie” (obiettivo o obbiettivo?), singolari e plurali (una ciliegia e due ciliegie, un’arancia ma due arance?); e poi modi di dire e parole che usiamo praticamente quotidianamente senza conoscerne l’etimologia o la storia. Ad esempio – e per tornare a Ferragosto – non bisogna scomodare alcun metallo, né il ferro né altri. La parola in questione deriva infatti dal latino FERIAE AUGUSTI, “le ferie in onore dell’imperatore Augusto”. 

Magari qualcuno potrebbe domandare se con tutte le “nuove” informazioni che ci bombardano, se con i contenuti attuali e preoccupanti che ci circondano, se nell’era delle STEM, sia rilevante e importante conoscere l’etimologia delle parole che usiamo.

Viviamo sempre più in contesti nei quali le lingue si mescolano e si contaminano (pensiamo agli anglicismi ormai italianizzati come taggare e chattare): che senso ha difendere non il purismo linguistico ma anche solo il “buon uso” della lingua, puntare il dito contro errori che non sempre impediscono la comunicazione e, insomma, “mettere i puntini sulle i”?

Riprendendo quanto scrive il linguista Stefano Vassere proprio nella prefazione di “Parole sotto la lente”, studiare la lingua – e quindi anche come cambia e come si evolve – è un esercizio fondamentale necessario al fine di “andare al di là delle strutture per cercare, là in fondo, la società e la cultura” nelle quali siamo immersi. Inoltre, è la complessità stessa (non di rado, caotica) del nostro presente che ci richiede una capacità di comunicazione consapevole e ordinata: “ci aiuta – scrive Mottis nella nota introduttiva del suo libro – ad essere più presenti, maggiormente efficaci (o efficienti?) nella comunicazione quotidiana, scritta o orale.

Non da ultimo – aggiungo io – conoscere l’etimologia delle parole che usiamo è anche un po’ cool! Ad esempio quando ci troviamo a un tavolo con colleghi e nessuno parla: raccontare un aneddoto che riguarda la nascita di un’espressione comunemente usata o l’etimologia di una parola è un bel modo originale per “rompere il ghiaccio”, no?

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Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

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