In questi giorni drammatici, mentre un’onda di profughi cerca di fuggire dall’Ucraina e diverse nazioni si preparano ad accogliere chi scappa dalla guerra, ci si interroga anche su “come gestire” i migranti, non solo ora o tra qualche mese ma nel lungo periodo: con quali strumenti sostenerli e includerli, che competenze richiedere loro ma anche fornire loro, quali appartenenze culturali richiedere. Alla base di tutti questi quesiti, c’è una questione di fondo: ha senso investire nei migranti?
Ricordo di aver letto, alcuni anni fa, un articolo interessante apparso sul The Economist nel quale si metteva in luce che più o meno ovunque, nel mondo, il numero degli immigrati che avvia un proprio business nel paese di arrivo è maggiore del numero dei ‘nativi’ che fa lo stesso. Un articolo dello scorso agosto pubblicato dal The Conversation cita l’analisi di Robert Breunig dell’Australian National University, secondo il quale gli immigrati sembrano accrescere la produttività di una nazione piuttosto che toglierla, il che significa che rallentare l’immigrazione potrebbe rallentare piuttosto che favorire la produttività e la crescita; mentre per Fabrizio Carmignani della Griffith University, l’aumento dei salari ha bisogno di investimenti in “capitale umano” attraverso l’istruzione ricerca e sviluppo. Questo riguarda anche l’inclusione dei migranti: sostenere politiche di formazione, anche professionale, rivolte ai migranti è un investimento per il futuro. Ad esempio, un rapporto dell’IZA Institute of Labour Economics argomenta i potenziali guadagni economici che sono generati da politiche le quali dedicano risorse pubbliche all’istruzione dei migranti, soprattutto per favorire lo sviluppo del capitale umano dei migranti socio-economicamente svantaggiati senza risorse sufficienti. Il rapporto mostra gli effetti positivi duraturi sulla crescita economica che possono arrivare da persone qualificate con un background migratorio: questi individui promuovono l’innovazione attraverso una maggiore diversità, l’imprenditorialità, o gli investimenti internazionali e il commercio. Inoltre, un’altra rilevante conseguenza dell’istruzione dei migranti sul mercato del lavoro non riguarda solo un significativo miglioramento delle opportunità lavorative ed economiche dei migranti stessi ma anche i bilanci pubblici.
Quale conclusione trarne? In passato i numeri non hanno ricevuto l’attenzione che avrebbero dovuto ricevere, nei dibattiti pubblici dominati dall’emotività. Eppure, gestire l’immigrazione non può e non deve essere una questione di pancia.
Far progredire l’istruzione dei migranti è una sfida considerevole per i Paesi ospitanti. Richiede il coordinamento di diverse aree politiche e il coinvolgimento di molte parti interessate nonché la consapevolezza che gli effetti positivi non sono immediati. Ma è un investimento che ripaga, una sfida che vale la pena di percorrere in questo periodo di crescente scetticismo verso gli stranieri. Come conclude il rapporto dell’IZA Institute of Labour Economics: “una migliore integrazione attraverso l’istruzione può anche aiutare a creare atteggiamenti più positivi dei cittadini europei nei confronti delle persone con un background migratorio e dell’immigrazione.”
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