Mogli di uomini al fronte

Si chiama Guido e Margherita Tedaldi. Lettere tra un volontario della guerra di Spagna rifugiatosi in Unione Sovietica e la moglie operaia a Tenero (1937-1947) ed è stato pubblicato online della Fondazione Pellegrini Canevascini. È un libro che ho letto un po’ di mesi fa, a cura di Renato Simoni. Raccoglie un centinaio di lettere, minuziosamente ricostruite, che ripercorrono le vicende di un uomo e della sua famiglia nel decennio della sua assenza da casa, a cavallo della seconda guerra mondiale.

L’uomo è Guido Tedaldi: scalpellino di origini italiane nato a Tenero (in Svizzera) nel 1909, militante in un gruppo socialista locarnese, poi membro della gioventù comunista, attivo antifascista (e per questo minacciato di espulsione dalla Svizzera). Egli fu uno dei circa 800 volontari antifascisti che dalla Svizzera partirono in difesa della Repubblica spagnola. Egli divenne così protagonista della Grande Storia – al fianco di chi combatteva per la giustizia, per la libertà e per la pace – ma questo venne reso possibile anche grazie a “lei”. Lei, una donna, sua moglie, Margherita, detta Ghia. Madre e operaia, sostenne tra mille fatiche il marito.

La leggiamo, questa determinazione, nell’epistolario tra il marito e la moglie, mentre egli si trova in Spagna, poi in campo per rifugiati in Francia e infine in Russia: quello che ci si palesa davanti non è solo una testimonianza dell’amore tra i coniugi e della loro sofferenza dovuta alla lontananza, ma anche una finestra sulla vita della donna rimasta a casa e confrontata con pressioni di familiari e autorità per la scelta partigiana del marito le cui attività politiche erano “incompatibili coi doveri dell’ospitalità e turbanti la pace fra i cittadini” (dal decreto del Dipartimento cantonale di polizia, 1936). Nonostante le enormi difficoltà e gli stenti, Margherita, come ricorda la nipote in un’intervista, “era solidale col nonno, aveva capito che non poteva più stare qui e quindi lo ha sostenuto nella sua partenza”.

Quante sono le Margherite nel mondo? Impossibile contare il numero di donne, mogli e madri, che vivono al fianco di partigiani o volontari di guerra. Al Museo della Liberazione a Roma, c’è una sala che si chiama Sala “Le Donne”, in ricordo delle giovani e meno giovani, madri e mogli che partecipano alla Resistenza contro l’occupazione nazi-fascista. Erano oltre 100 le donne ucraine che poche settimane fa, a metà giugno, si sono raccolte a Lucerna, in Svizzera, per chiedere il rilascio dei soldati e civili catturati dalle forze russe. In Israele, lo scorso fine gennaio c’erano anche tante madri dei soldati in servizio a Gaza a marciare per le strade contro la guerra. Nel febbraio del 2022 fecero parlare le madri della rivoluzione in Myanmar, donne che, spronati dalle atrocità militari, sostennero mariti e partner nella armata contro il regime – e in molte si unirono alla lotta.

Le donne “che combattono” e che “si prendono cura” sono state al centro anche di una mostra fotografica in Italia, alla Galleria Ceribelli di Bergamo. Curata da Danilo De Marco, si è conclusa in aprile e si intotolava “Un mondo di donne in cammino”, creature che danno vita e che della vita hanno cura. Per tutte loro, per le donne mogli di soldati o volontari al fronte, partigiane di oggi, valgono le parole di Angelo Floramo (contenute nella postfazione del catalogo che raccoglie le foto di De Marco):

E alla Terra appartenete, tutte quante voi. Portatrici. Operaie. Tessitrici. Donne. Donne. Donne in cammino. Resistete. Non mollate mai. Perché in fondo lo sapete. Avete già vinto.”

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Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

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