Monica Frassoni: il Green Deal europeo non è morto. Ma va difeso, rilanciato e ben applicato.

A poco più di due settimane dal voto per il Parlamento europeo, torniamo a guardare ai risultati elettorali e ai voti raccolti dalle forze politiche verdi: vediamo che queste non hanno brillato. Lelettorato si è spostato verso destra: un risultato sufficiente per dichiarare il Green Deal morto? A Brussels, ad esempio, il piano “verde” Good Move ha punito i partiti ambientalisti?

Lo abbiamo chiesto a Monica Frassoni, Presidente della European Alliance to Save Energy, copresidente (insieme a Daniel Cohn-Bendit) del gruppo Verdi Europei / Alleanza Libera Europea al Parlamento europeo dal 2002 al 2009, e copresidente del Partito dei Verdi europei (con Rheinhard Buetikofer) 2009 al 2019. 

Monica Frassoni, come stanno le forze politiche verdi e come escono dopo il voto per il Parlamento europeo dello scorso 9 giugno?

C’è sempre modo di fare autocritica dopo un risultato elettorale che non è stato brillante. Preciso però che il risultato è stato veramente negativo soprattutto in due paesi – che sono Francia e Germania – ma se poi guardiamo ad esempio in Italia, qui per la prima volta dopo 15 anni ritorna la presenza ecologista, in particolare con due giovani e brillanti attiviste di grande competenza, Benedetta Scuderi e Cristina Guarda. La stessa cosa succede in alcuni paesi dell’est Europa; in Olanda, Danimarca e Spagna aumentano gli eletti. Quindi non parlerei di una debacle generale. Quello che invece si è verificato è sicuramente un attacco politico e mediatico, guidato da danarose lobby fossili, sul Green Deal e in generale sui cambiamenti climatici con una discussione fondamentalmente disinformata e populista.

In che senso? Ci fa qualche esempio?

L’Unione Europea ha realizzato il Green Deal attraverso delle normative approvate secondo procedure largamente aperte. Su di queste si è scatenata la contro-narrazione da parte della destra delle lobby fossili, che sono delle lobby ricchissime (da sempre ben connesse con amministrazioni nazionali e con il potere politico) e che hanno paura di sparire, perché è chiaro che il mondo sta andando da un’altra parte. Così queste lobby “comprano tempo”. Insomma, non è un mistero: chi fa pannelli solari non ha paura di perdere mercato con la transizione ecologica; chi fa soldi con gas e petrolio sì! Pensiamo a tutta la propaganda intorno alle case verdi o alle proteste degli agricoltori con i trattori, per esempio: se andiamo a vedere “dietro” le dimostrazioni e guardiamo alla sostanza, ci si rende conto che le rivendicazioni di questi attori sono basate molto spesso su precisi interessi e su una totale mistificazione della realtà. Insomma, con l’entrata in vigore delle direttive delle case verdi nessuno verrà a prenderci casa…ma questo era quanto la propaganda contraria alle direttive sosteneva e sostiene. Evidentemente c’è anche una mancanza di convinzione, nel momento in cui si pensa di poter gestire i cambiamenti climatici senza cambiare nulla. Eppure, mi permetto di sottolineare che cambiare costa, ma non cambiare costerà di più!

Dai sondaggi (ad esempio quello recente dell’Eurobarometro) emerge comunque che il cambiamento climatico è, assieme a preoccupazioni legate al potere d’acquisto, un tema che sta a cuore alle persone...

Infatti! Non direi che l’ambiente non interessa più a nessuno. Certo è che il modo in cui alcuni partiti di destra hanno strumentalizzato il dibattito sulla transizione ecologica – unitamente alla scarsa resistenza dei partiti progressisti (che non ne hanno fatto una vera battaglia politica tranne che in alcuni casi), e alle campagne mediatiche strumentali – ha fatto grandi danni nella percezione dell’opinione pubblica sia sull’urgenza di agire sul clima sia sugli strumenti per farlo.

Parlando di percezione e opinione pubblica, nella Regione di Bruxelles non sono mancate le critiche a un importante piano in materia di mobilità, il Good Move…

… Critiche che si sono concentrate sulla sfera della mobilità toccata dal piano, ma che vanno ridimensionate, perchè il Good Move è solo una parte di un piano più ampio che ha compreso, ad esempio, un aumento delle piste ciclabili e altre misure. Tra gli obiettivi del Good Move c’era anche la riduzione del traffico automobilistico, dell’inquinamento e dell’incidentalità. Questi obiettivi sono stati in parte raggiunti, se si guarda ai numeri. Il problema è che purtroppo l’attuazione del Good Move è stata contemporanea all’inizio di enormi lavori sulla cintura di Bruxelles, che hanno determinato in alcuni casi un peggioramento netto della situazione. E così oggi ci si trova in difficoltà a “vedere” i vantaggi concreti del Good Move, perché è difficile distinguere gli impatti del piano sul traffico cittadino dagli impatti conseguenti ai cantieri. Una situazione che è strumentalizzata dai critici del Good Move e dai sostenitori dell’uso delle auto, con il loro slogan che in città “è tutto bloccato”, anche se non è così… Insomma, questo caso è un esempio di propaganda e disinformazione, che fa breccia anche tra coloro che non possiedono un’automobile (nel comune dove sono eletta, Ixelles, il 60% delle persone non ne possiedono una), ma che sono persuasi dalle polemiche contro il piano di mobilità.  

In che modo si può favorire allora una collaborazione tra industria e società civile che sia trasversale?

La mia esperienza diretta lo dimostra: nella mia associazione, European Alliance to Save Energy, ci sono sia delle grandi imprese e multinazionali sia degli importantissimi gruppi “think tank” e rappresentanti della società civile che collaborano molto bene. Contrariamente alla propaganda, non tutte le imprese sono contro il Green Deal, anzi! Molte di loro hanno capito che quello è il futuro. Non più tardi di qualche giorno fa è stato pubblicato un appello firmato da più di 400 grosse e medie imprese e associazioni per chiedere ai nuovi eletti del Parlamento europeo di continuare con il Green Deal. Ricordo che quest’ultimo era proprio nato con lo scopo di preparare l’Unione Europea a una scelta di modello economico che potesse accompagnare nella decarbonizzazione, in modo da creare nuovo lavoro, nuove imprese e nuove attività economiche, formando le persone e creando nuove professionalità. Tra l’altro quando il Green Deal è stato lanciato, non c’era la guerra in Ucraina e il mondo non si era ancora trovato a gestire la pandemia Covid-19… due elementi che rafforzano – non indeboliscono – le ragioni del Green Deal, ma che sono state usate per rinviare scelte indispensabili, in particolare la dipendenza non solo dal gas russo ma dal gas in generale. 

Oggi investire sul nucleare ci fa perdere tempo. E questo tempo noi non ce l’abbiamo più.

(Monica Frassoni)

Le piace il documento votato dal Consiglio Ue pochi giorni fa –  il regolamento sul ripristino della natura – che è uno dei dossier del Green Deal? Un segno che il Green Deal non è morto?

Questa è una bella vittoria benché il documento finale sia molto indebolito rispetto alla proposta iniziale. Il Green Deal non è morto e diverse normative legate al Green Deal sono state già adottate. Chiaramente ora gli stati membri le devono applicare, quindi su questo bisognerà esercitare un enorme controllo e fare quel lavoro anche sinergico tra associazioni, imprese, lavoratrici e lavoratori, e autorità locali, affinché si ricevano finanziamenti adeguati e le normative siano accompagnate da regolamenti attuativi efficaci. Insomma, penso che sia difficile tornare indietro. Il rischio è piuttosto legato alla mala-applicazione, alla riduzione ancora maggiore delle ambizioni del Green Deal e a una competizione sulle risorse per cui vengono finanziate delle tecnologie che ci fanno perdere tempo – oggi investire sul nucleare, tanto per fare un esempio, ci fa perdere tempo. E questo tempo noi non ce l’abbiamo più.

Le donne sembrano essere molto più sensibili a questo tempo “che scappa”… il loro impegno e protagonismo nei dibattiti green supera spesso quello degli uomini. Come mai?

Prima di tutto perché si pensa che sui temi green non ci sia “potere” – cosa non vera – e poi perché l’ambiente e le lotte climatiche sono tematiche portate molto dalla società civile, dove l’impegno femminile è importante, più che dalla politica, dove gli uomini hanno a lungo primeggiato. Ma il protagonismo delle donne sui temi ambientali non è indiscusso, in quanto i lavori “green” sono ancora dominati da professionalità tradizionalmente maschili. Su questo c’è ancora molto da fare. 

L’intervista integrale a Monica Frassoni (anche sulla posizione Svizzera contraria alle indicazioni della Corte europea dei diritti dell’uomo) può essere ascoltata all’interno del programma webradio L’UE sotto la lente – dal minuto 2:50 – parte di @RadioMir (25.06.2024)

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Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

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